Danni collaterali    

Carla Reschia

Alla vigilia del secondo mandato l'associazione ricorda la promessa del 2009. Il carcere che viola i diritti umani ospita 166 detenuti che costano 114 milioni di dollari all'anno.

La data dell'inizio ufficiale del secondo mandato di Barack Obama, il 21 gennaio, si avvicina e Amnesty, tra gli altri, è pronta a presentare il conto al presidente Nobel per la pace. Il tema è la chiusura del famoso/famigerato carcere di Guantanamo, che Obama aveva annunciato di voler attuare già all'inizio del suo primo mandato. Così come aveva ordinato la fine dell'uso delle tecniche "rafforzate" d'interrogatorio da parte della Cia e la chiusura dei cosiddetti "siti neri", i centri segreti di detenzione diretti dall'intelligence statunitense.  

Decisione rimasta vittima, come molti altri buoni propositi, della fronda repubblicana e in nome della sicurezza. I prigionieri del carcere statunitense in terra cubana, infatti, sono accusati di terrorismo, la "guerra globale" non è affatto finita e lo spettro dell'11 settembre è più vivo che mai.  

Di recente un rapporto governativo avrebbe rassicurato in questo senso: i detenuti possono essere trasferiti nelle prigioni Usa senza che questo rappresenti un pericolo per il paese. Così secondo Dianne Feinstein, l'esponente democratica a capo della commissione d'intelligence al Senato, che ha divulgato i risultati dello studio del Government Accountability Office. Lo dimostra, se non altro, spiega la relazione, il fatto che 98 prigioni statunitensi abbiano già accolto senza apparenti problemi 373 persone accusate di terrorismo. In più, e questo è un buon argomento in tempi di crisi, Guantanamo è una prigione assai cara. Custodirvi 166 detenuti, tanti ce ne sono al momento, costa 114 milioni di dollari all'anno.  

Ma il 2 gennaio scorso Obama ha firmato l'Atto di autorizzazione alla difesa nazionale, pur criticandone alcuni aspetti che di nuovo pongono ostacoli alla soluzione del problema di Guantanamo.  

Così, a undici anni dal giorno del primo trasferimento di un detenuto nella base navale, la prigione resta aperta e attiva e Amnesty International richiama Obama al suo impegno: non solo chiuderla ma anche garantire un processo equo ai detenuti. Cosa che secondo l'associazione umanitaria fin qui non è avvenuta: dal 2002, il centro di detenzione ne ha ospitati 779, la maggior parte dei quali vi ha trascorso diversi anni senza accusa nè processo.  

Secondo Rob Freer, ricercatore di Amnesty sugli Stati Uniti: "La pretesa degli Usa di essere paladini dei diritti umani non è compatibile con l'apertura di Guantánamo, le commissioni militari, l'assenza di assunzione di responsabilità e la mancanza di rimedi per le violazioni dei diritti umani commesse da funzionari statunitensi, tra cui la tortura e le sparizioni forzate, che costituiscono crimini di diritto internazionale".  

A dimostrarlo, il rapporto di Amnesty elenca alcuni dati: Sette detenuti sono stati condannati dalle commissioni militari, cinque dei quali a seguito di accordi precedenti il processo sulla base dei quali hanno ammesso la colpevolezza in cambio della possibilità di essere rilasciati.  

Sei detenuti sono attualmente sotto processo e rischiano di essere condannati a morte dalle commissioni militari, organismi le cui procedure non sono in linea con gli standard internazionali sui processi equi. I sei imputati sono stati sottoposti a sparizione forzata prima del trasferimento a Guantanamo. Due di loro hanno subito la tortura del waterboarding.  

Nel 2010, inoltre, l'amministrazione Usa ha annunciato che 48 detenuti di Guantanamo non avrebbero potuto essere né processati nè rilasciati ma dovevano rimanere in detenzione militare senza limiti di tempo, senza accusa o processo. L'amministrazione Usa ha inoltre sospeso i rimpatri dei detenuti yemeniti, trattenendo a Guantanamo 30 di essi, a causa di preoccupazioni legate alle condizioni di sicurezza nel paese mediorientale.  

E se anche Guantanamo venisse chiusa, conclude Amnesty, chi garantisce che cesserebbero le detenzioni illegali?  

"Ciò di cui c'e' ora bisogno - conclude Freer - è il riconoscimento e l'applicazione, da parte delle autorità statunitensi, dei principi internazionali sui diritti umani. Ciò significa abbandonare le commissioni militari in favore di processi equi in tribunali ordinari e civili, rilasciare i detenuti che gli Usa non hanno intenzione di processare, accertare pienamente le responsabilità e fornire accesso a forme di rimedio giudiziario per tutte le violazioni dei diritti umani".  

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