Un'analisi del modello cooperativo in agricoltura in differenti contesti socio-economici.
di Carlo Borzaga e Jacopo Sforzi
In occasione delle celebrazioni ufficiali per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2012, dedicata dalla FAO al tema della cooperazione agricola, il 21 novembre si è tenuta a Trento una conferenza sul ruolo e la capacità delle cooperative agricole nel favorire la produzione alimentare e i processi di sviluppo locale, contribuendo alla lotta alla fame e alla malnutrizione nei Paesi del sud del mondo.
In questa conferenza, organizzata dalla Cooperazione Italiana del Ministero degli Affari Esteri e la rete delle università Italiane in collaborazione con Euricse, sono state analizzate le principali caratteristiche del modello cooperativo in agricoltura e sono stati presentati esempi concreti di cooperazione agricola in differenti contesti socio-economici. La conferenza, grazie anche alla partecipazione di rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, della FAO, dell'IFAD e del WFP, ha offerto l'occasione per affrontare il tema in un contesto più ampio, legato ai problemi della sicurezza e sussistenza alimentare e della preservazione della terra.
La storia e la teoria economica insegnano che il superamento della povertà in ambito agricolo è legato alla capacità dei produttori di operare su mercati più ampi di quelli strettamente locali e di sviluppare meccanismi che consentano loro di recuperare la maggior parte del valore di ciò che producono. I piccoli produttori hanno, però, generalmente poco potere di mercato sia nei confronti dei grandi fornitori di input (sementi, macchinari, ecc.) sia nei confronti degli acquirenti dei loro prodotti (aziende di trasformazione, grandi catene di distribuzione, ecc.). Queste difficoltà causano un'erosione dei guadagni tale da rendere spesso l'attività agricola economicamente insostenibile, specie in aree caratterizzate da alti costi di produzione ed elevata frammentazione della proprietà terriera.
La crescita dimensionale delle attività agricole è quindi fondamentale perché consente di acquisire più potere negoziale e di mercato, di rendere più sostenibili gli investimenti e di impostare strategie produttive e commerciali più efficaci. Per raggiungere questo obiettivo vi sono sostanzialmente due strade. La prima è quella dell'accorpamento delle superfici (tramite ristrutturazione fondiaria) e della creazione di grandi imprese (tramite riduzione dei soggetti in gioco). Questa via può però causare lo sradicamento dei piccoli contadini dalle loro proprietà e portare alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi o al "land grabbing", specie da parte di soggetti stranieri. La seconda è quella dell'aggregazione dei soggetti esistenti per la gestione dei processi di produzione e commercializzazione tramite cooperative, consorzi e organizzazioni di produttori (OP). Questa soluzione, come dimostrano molte esperienze a livello locale e internazionale, ha il vantaggio di preservare la piccola proprietà terriera, di ampliare i mercati di riferimento, di ottenere maggiore forza negoziale nei rapporti di filiera e nei confronti delle realtà istituzionali per i produttori e di offrire maggiori garanzie in termini di tracciabilità dei prodotti e di sicurezza alimentare per i consumatori.
La storia della cooperazione trentina, di cui è stata presentata un'esperienza eccellente come Mezzacorona S.c.a., dimostra la validità di queste teorie. Da una cooperazione che nasce con l'obiettivo di far uscire dalla povertà una popolazione che in larga parte poteva contare solo sui prodotti della campagna, si assiste oggi a una cooperazione di dimensioni rilevanti capace di operare su mercati mondiali.
Nei paesi in via di sviluppo, se l'aggregazione (anche in forma cooperativa) viene perseguita con strategie imposte dall'alto, essa può comunque in alcuni casi causare fenomeni di esclusione e disuguaglianza sociale, specie nei contesti in cui non esiste una legislazione specifica sulle cooperative. In uno dei casi studio presentati alla conferenza e incentrato su un'esperienza in Brasile, ad esempio, le cooperative di produttori tendono a coinvolgere solo una tipologia di persone (legate tra loro da legami di parentela) e a introdurre spesso cambiamenti a livello locale (specializzazione della produzione) che sembrano avere effetti negativi in termini di scarsa partecipazione delle fasce più povere della popolazione o di produzioni destinate solo al consumo familiare. Analogamente, nel caso condotto in Mozambico, nonostante le cooperative rappresentino un'esigenza di protezione sociale e sicurezza del reddito, il loro impatto è spesso limitato poiché svolgono il solo ruolo d'intermediario tra produttori e mercato, con il rischio di aumentare le disuguaglianze già esistenti o di crearne di nuove tra chi è dentro e chi è fuori della cooperativa.
L'impegno della FAO sul tema della cooperazione agricola e la presenza a questa conferenza di rappresentanti dell'IFAD e del WFP sono quindi segnali importanti, soprattutto visti gli effetti negativi che un'errata attuazione del modello cooperativo può causare. Il forte sostegno e il riconoscimento dell'importanza delle cooperative come importanti partner nello sviluppo rurale e della loro capacità di resistenza agli shock economici e sociali da parte della FAO e l'impegno degli organismi internazionali nella promozione della conoscenza della cooperazione agricola e lo sviluppo di linee guida finalizzate a incoraggiare i governi a stabilire quadri legislativi adeguati per favorire lo sviluppo di cooperative sostenibili è un passo fondamentale per garantire la diffusione del modello cooperativo e dei vantaggi che esso comporta.