RIFUGIATI, VERGOGNA ITALIA / 2

di ROBERTA REI

Lunghi viaggi e traversate nella speranza di trovare un Paese che li accolga. Ma l'Italia non è pronta. Da oltre un anno la gestione dei migranti che chiedono asilo politico è affidata a procedure d'emergenza. Anche chi ce l'ha fatta è spesso costretto a vivere in condizioni drammatiche. Il caso del Salaam Hotel a Roma dove i profughi vivono come fantasmi in un palazzo dismesso, finito in prima pagina sull'International Herald Tribune.

Sono decine di migliaia, tutti profughi scappati dalla guerra in Libia e dalla rivoluzione in Tunisia. Il loro destino dipende da una domanda, quella fatta a una Commissione, di cui non capiscono né il nome né il ruolo e che definiscono sempre con un tono solenne preceduto da un marcato articolo determinativo. Perché è "La Commissione" che deciderà se potranno avere o meno il riconoscimento dello status di rifugiato politico. La gestione d'emergenza della loro condizione è scaduta il 31 dicembre, ma con un decreto il governo ha prorogato tutto al 28 febbraio.

I flussi migratori, negli anni scorsi, sono stati spettacolarizzati paventando una "emergenza umanitaria" che l'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva definito "di proporzioni catastrofiche". Si stimava, in principio, un'invasione di oltre cinquantamila persone provenienti dalla Libia. Nei mesi successivi però quelle previsioni sono state smentite dai numeri: difatti nel 2012, solo poco più di ventottomila richiedenti asilo sono entrati in Italia a seguito della primavera araba. Questo esodo (importante ma non di proporzioni bibliche) è andato a sommarsi con i gruppi preesistenti per un totale di circa 62mila persone. Se le previsioni di Maroni fossero state corrette, oggi dovremmo parlare di un fenomeno di oltre centomila "rifugiati".

Un'emergenza ridotta, rispetto alle catastrofiche previsioni governative, ma, comunque, gestita male e con risultati che adesso, sì, possono essere definiti "catastrofici". Per la gestione di questo problema, il Governo italiano, di concerto con la Protezione Civile e le Regioni, ha costruito un sistema di accoglienza che è sfuggito al controllo centrale e ha favorito l'affermarsi di un esteso e illecito giro d'affari. Da Nord a Sud sono numerose le segnalazioni di disagi: ogni regione, ma spesso anche ogni provincia, ha creato una propria modalità e rete di accoglienza. I migranti sono stati ospitati in ogni tipo di struttura in disuso che fosse rintracciabile: alberghi, ospedali, asili, palazzi abbandonati. Luoghi, che nella maggior parte dei casi, non erano stati concepiti per l'accoglienza dei profughi, ma che, per l'occasione, sono diventati tali. E, pur essendo del tutto inadeguati, hanno tuttavia ottenuto l'abilitazione ad operare come "Cara", Centri di accoglienza per rifugiati politici.

Un migrante che viene ospitato in un "Cara", vale dai 36 ai 42 euro al giorno. Una diaria a carico dello Stato, in cui però, oltre il vitto e l'alloggio, è compreso l'obbligo di fornire servizi di assistenza sanitaria, legale, mediazione culturale, di pulizia e orientamento al territorio. Una gestione molto costosa, per la quale il Governo ha speso circa un miliardo e 300 milioni di euro. Ma che tuttavia andava controllata e non lasciata ai proprietari delle strutture o ad associazioni create al momento per sfruttare il business dell'immigrazione. L'unica preoccupazione, per far fronte all'emergenza è stata quella di trovare luoghi vuoti, o semi vuoti, ed inutilizzati, che garantissero il contenimento e un minimo di sussistenza dei profughi.

Col decreto del 27 luglio 2011 era stato creato un Gruppo di monitoraggio e assistenza il cui scopo doveva essere quello di supportare l'attività dei "Soggetti attuatori sul territorio" e di controllare la diffusione delle buone pratiche. Ma la sua azione è durata soltanto pochi mesi. Così è accaduto che in regioni come la Campania (che ha ricevuto una quota record di 2.278 rifugiati ospitati in 50 hotel), una struttura come il Tifata resort di S. Prisco, in provincia di Caserta, ospitasse circa 82 richiedenti asilo, per una somma giornaliera che ammonta a più di 3.400 euro. O l'Hotel Regina, nella stessa zona, in cui addirittura si stima la presenza di circa 180 migranti, per una cifra che andrebbe oltre i 7.000 euro al giorno. E nella maggior parte dei casi, soprattutto all'inizio, gli albergatori non hanno avuto i mezzi adeguati per fornire corsi di lingua, il cibo e il vestiario adeguati così come previsti dalla legge, e nemmeno lo spazio necessario. Ci sono stati casi in cui i migranti sono stati costretti a svolgere lavori di manutenzione delle stesse strutture alberghiere. Per non parlare di quelli finiti nel circuito del lavoro nero del tessuto criminale come è accaduto intorno stazione di Piazza Garibaldi a Napoli. Jamal Qadorrah, responsabile dell'ufficio immigrazione della CGIL descrive così il fenomeno: "I migranti che vivono negli hotel della zona cadono nel mercato dello spaccio di droghe e della prostituzione e una delle prime parole italiane che hanno imparato è 'camorra'".

In Sicilia invece, a 60 chilometri da Catania, al centro della Piana omonima, è stato allestito il più grande "Cara" dell'isola con una capienza di oltre 2.000 posti, il "Villaggio della Solidarietà" di Mineo. Una struttura residenziale preesistente, in origine chiamata "Residence degli Aranci" che, fino al dicembre 2010, ha ospitato i militari statunitensi presenti nella base Nato di Sigonella di proprietà della società di costruzioni Pizzarotti Spa. Il Residence degli aranci è una cattedrale nel deserto lontana dal primo centro abitato, quello di Mineo, ben 11 chilometri. Quando i militari hanno progressivamente abbandonato la struttura, il Dipartimento della Difesa aveva deciso di rinnovare il contratto d'affitto, e alla Pizzarotti Spa si era presentato il problema di come pagare il mutuo. La riconversione del residence in un "Cara", quindi, è sembrata la soluzione migliore per salvaguardare i diversi interessi, sia quelli della società, che quelli dello Stato che aveva bisogno di spazi ampi e pronti da subito. Quella che poteva apparire come una struttura di accoglienza a cinque stelle si è trasformata in un inferno. Secondo le denunce dell'Asgi (Associazione Studi Giuridici Immigrazione), il "Centro di Mineo per ragioni legate alla sua ubicazione era una struttura ad alto rischio di involuzione verso una realtà ghetto isolata dall'esterno". Area ipermilitarizzata, difficile da raggiungere, dove convive un mix esplosivo di diverse etnie e insofferenza. E dove gli unici servizi attivati sin da subito sono stati la distribuzione di sigarette e di schede telefoniche che ad aprile 2011, come la stampa locale ha riportato, erano stati affidati in appalto a Rosario di Dio, uno stretto parente di un noto boss locale.

Nella maggior parte dei casi, i servizi di intermediazione culturale e assistenza sono stati sempre svolti da associazioni di volontari. Nella provincia di Bergamo, ad esempio, sono stati attivati dei percorsi autorganizzati nel territorio per ospitare un gruppo di tunisini che avevano ottenuto il permesso di soggiorno provvisorio, ma, in assenza di abitazioni, sono stati costretti a vivere nei boschi per settimane. Molto spesso sono le Ong locali a fornire corsi di lingua italiana, o di mediazione legale laddove, i migranti, ignari della legge italiana, si affidano ad avvocati che avviano le pratiche da presentare alla Commissione, senza neanche informarsi sulla reale condizione d'origine del suo assistito.

Ogni rifugiato soggiorna nei Cara per tutto l'iter che precede il processo, davanti alle Commissioni territoriali, per il riconoscimento dello status di rifugiato. I tempi di attesa tuttavia superano di gran lunga quelli previsti dalla legge, prolungando così l'emergenza, i costi dell'accoglienza, e l'esasperazione. "Le Commissioni - spiega Laura Boldrini dell'Unhcr - devono fare una valutazione sulle condizioni del paese d'origine dei migranti, non su quello di transito. Quindi è vero che molte persone sono qui perché fuggite dalla guerra in Libia, ma non sono libici, e non hanno problema di protezione del loro paese d'origine. Per questo hanno risposte negative". I veri problemi, secondo il portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, sono quelli che seguono il riconoscimento del diritto d'asilo. I profughi infatti non hanno posti dove stare e, così come ha mostrato il caso scioccante del Salaam Palace di Roma, definito dalla stampa internazionale come "paradosso italiano", vivono come dei fantasmi occupando palazzi dismessi dove "un bagno è condiviso da 250 persone".

Con il decreto del governo per altri due mesi si rimane nell'emergenza, poi la gestione sarà affidata ai prefetti che garantiranno agli stranieri ancora presenti "un'accoglienza finalizzata ad una progressiva loro uscita dal sistema, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario e assistito". Ma queste persone, finora, hanno atteso in silenzio una via d'entrata. Dinanzi a nuove speranze disattese, la situazione potrebbe diventare esplosiva. È da oltre un anno e mezzo infatti che, in Italia, i migranti provenienti dal Nord Africa, attendono in un limbo di incertezza che è stato l'unico approdo a loro concesso dopo le lunghe e strazianti traversate in mare.

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