Autore: Flaviano Zandonai

Un milione, mica bruscolini. A tanto ammonta la dotazione della nuova competizione ospitata su ideaTRE60. Ars premierà infatti una progettualità in grado di valorizzare il patrimonio artistico, generando un significativo contributo sul piano occupazionale. Il bando non cita l'innovazione come criterio di selezione delle idee, ma mi permetterei di dare per scontato questo aspetto anche perché, rubando la metafora a Pierluigi Sacco e Christian Caliandro, proprio il settore della valorizzazione del patrimonio artistico è popolato da "zombie" della produzione culturale. Cioè da enti e istituzioni che mirano sì alla conservazione, non però del patrimonio ma di se stessi. Ben vengano quindi iniziative che sappiano innovare, anche tenendo conto del carattare distruttivo di questo modo d'agire come ricordava l'economista Schumpeter.

La tutela del patrimonio culturale è una delle materie di "rilievo sociale" che definiscono in termini normativi l'impresa sociale in Italia e quindi non è da escludere che fra i partecipanti al concorso Ars vi siano anche organizzazioni che già operano in questa forma o gruppi che intendono trasformarsi o dar vita a un'impresa sociale ai sensi del d.lgs n. 155/06. Per questa ragione può essere utile proporre qualche semplice linea guida per spendere in modo efficace le risorse messe a disposizione, considerando le peculiarità di questo soggetto gestore. Si tratta infatti di una forma d'impresa che persegue, in modo esplicito, finalità che massimizzano non l'interesse dei proprietari e dei finanziatori, ma l'interesse generale, riferibile a una comunità territoriale e, in questo caso, a un patrimonio culturale che diventa "bene comune". Sono indicazioni che naturalmente precedono la redazione di un vero e proprio business plan e che costituiscono una di cornice di senso dove le singole voci di spesa possono essere collocate. Un modo come un altro per evitare che la massa di denaro messa a disposizione si perda nei mille rivoli dei workpackages e delle norme di rendicontazione. Il caso di Ars peraltro non è isolato come ammontare di risorse. E' da poco scaduto, ad esempio, un bando del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che finanziava progetti di innovazione sociale con cifre che si aggiravano intorno al milione di euro.

Ecco dunque le indicazioni - tutte da discutere - per cercare di spendere bene i soldi destinati a progetti la cui gestione sia affidata a un'impresa sociale.

- Accelerare i processi generativi: le imprese sociali sono "famose" per i loro lunghi processi di start up. In parte ciò è fisiologico, perché è legato alla necessità di aggregare una pluralità di soggetti che legittimano il carattere di "interesse generale" della produzione. Un dato non per scontato anche nel campo della produzione culturale e della valorizzazione del patrimonio (basti pensare a quanto rimane abbandonato!). D'altro canto questo stesso processo può essere reso più efficace investendo risorse. Per cosa? Ad esempio per scegliersi una sede funzionale non solo per la disposizione degli spazi interni o per la dotazione tecnologica, ma per il fatto di trovarsi in "crocevia" che consentono di incontrare e di dialogare con gli attori del territorio.

- Testare soluzioni: altro capitolo di spesa su cui puntare. Le imprese sociali, infatti, rispondono a problemi complessi dove il discrimine tra bisogni e domanda non è sempre definito con precisione, ed anzi in alcuni casi è ambivalente. E' quindi importante avere a disposizione risorse che consentano di provare soluzioni diverse, in modo che queste ultime facciano da catalizzatore per far emergere le esigenze a cui intendono rispondere. Alla recente biennale di architettura, il padiglione degli Stati Uniti esemplificava in modo emblematico questo processo: il soffitto era infatti costellato da decine di manifesti su micro progetti di innovazione sociale. Tirandoli verso il basso un gioco di carrucole scopriva sulla parete di lato il problema che intendevano risolvere.

- Consolidare il gruppo promotore: l'impresa sociale è un'organizzazione collettiva, soprattutto nella tradizione italiana. E' importante quindi che le risorse economiche a disposizione si inseriscano in un mix di incentivi basato su elementi quali la creatività e l'autonomia del lavoro e, non da ultimo, la possibilità di partecipare alla gestione dell'impresa. La leva economica da sola non basta. Ma è anche vero che senza un impiego mirato di quest'ultima si rischia di non valorizzare motivazioni e competenze preziose. E poi non dimentichiamo che l'obiettivo specifico di Ars è di generare occupazione "sociale e sostenibile".

- Favorire la scalabilità: di solito è un'aspetto a cui le imprese sociali non sono molto attente essendo concentrare su progettualità definite in termini di oggetto e soprattutto di spazio di implementazione. Invece il riuso - inteso come trasferibilità e diffusione - di soluzioni gestionali, organizzative e di prodotto è un'aspetto rilevante anche per garantire la sostenibilità dell'iniziativa oltre l'orizzonte progettuale. Occorre quindi porsi nell'ottica della scalabilità fin da subito, in ogni fase del progetto, sapendo naturalmente che la produzione di un'impresa sociale non riguarda beni e servizi standardizzati ma che richiedono consistenti margini di adattabilità al contesto. E tutto ciò... costa.

- Essere accompagnati: anche questo è un'aspetto critico delle progettualità nostrane d'impresa sociale. In Italia, infatti, non esiste come in altri paesi (Regno Unito soprattutto) un ecosistema di servizi a supporto di queste imprese. Per cui, di solito, le imprese sociali sono costrette a fare da sé, autoproducendosi l'accompagnamento allo sviluppo. Niente di male, ma la complessità crescente delle partite imprenditoriali in cui si trovano coinvolte queste organizzazioni richiede interventi specialistici sia sul fronte tecnico - amministrativo che di contenuto dei processi produttivi. Spedere bene le risorse a disposizione per avvalersi di professionisti adeguati può rappresentare un'opportunità notevole di crescita.

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