Mario Calabresi

Sarà l'anno della cittadinanza per chi vive da troppo tempo nel limbo, per chi è cresciuto, ha giocato, studiato e sognato in un solo Paese ma ne è escluso, colpevole di essere nato fuori dai confini della Terra in cui vive e a cui sente di appartenere. I protagonisti del dibattito politico del 2013 saranno i bambini nati in Messico o in Guatemala arrivati piccolissimi negli Stati Uniti, o quelli con passaporto cinese, filippino, peruviano, marocchino o rumeno ma che sono nati in Italia, tifano per gli azzurri e sognano di vincere «X Factor». Dopo anni di dibattito acceso, che ha visto in prima fila il presidente Napolitano e la Chiesa, sembra arrivato il momento: se in Italia Bersani vincerà le elezioni il suo primo provvedimento sarà sulla cittadinanza perché «un figlio di immigrati nato qui e che studia qui è un italiano».

Negli Stati Uniti Barack Obama ha riconquistato la Casa Bianca anche grazie alla promessa di dare sostanza al sogno, di approvare finalmente il «Dream Act», per regolarizzare i due milioni di ragazzi e i dieci milioni di adulti che vivono in clandestinità, ma si sentono americani a tutti gli effetti: studiano, lavorano, costruiscono casa e famiglia e non hanno mai commesso reati. Il loro inserimento permetterebbe di farli uscire dal limbo e dal lavoro nero, diminuendo il deficit, aumentando le entrate fiscali e, come sottolinea il sindaco di New York, Michael Bloomberg, di inserire nuova linfa nelle nostre stanche società.

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