In risposta ai problemi di liquidità, si stanno diffondendo in Italia (e non solo) esperienze di ?economia senza denaro' per cui imprese commerciali e imprenditoriali mettono in circolo forme di moneta alternative, complementari rispetto a quella corrente. Sistemi che, nel pieno rispetto della legalità, si mostrano capaci di creare circuiti di scambio più sostenibili.
di Stefania Garini
Cosa fare se le difficoltà economiche incalzano e le tasche della gente sono sempre più vuote? Un'idea, che si sta diffondendo sempre più, può essere quella di scambiare beni e servizi senza dover ricorrere al denaro contante. Ma impiegando invece una sorta di moneta ?alternativa', con cui è possibile effettuare transazioni commerciali all'interno di un circuito di scambio dove essa viene accettata come unità di misura condivisa. Si tratta in pratica di un sistema ?chiuso' (l'unità di scambio è riconosciuta e spendibile solo all'interno della cerchia di aderenti), nel quale le ditte e le realtà affiliate concludono affari tra loro senza bisogno di denaro contante, attraverso una forma di compensazione che mantiene l'equilibrio tra crediti e debiti complessivi.
Un esempio storico è il Wir della Svizzera: in seguito alla grave crisi del '29, una quindicina di imprenditori svizzeri ?coniarono' questo equivalente di scambio facendolo circolare entro una rete di piccole e medie imprese, consentendo loro di concludere affari beneficiando di una sorta di fido bancario senza interessi. Questo modello di successo, giunto oggi a quota 60.000 aderenti, è piaciuto anche ad alcune aziende italiane, come la bresciana BexB (2.600 associati) o la torinese VisioTrade Spa, che negli ultimi anni hanno deciso di seguire l'esempio svizzero facendone un vero e proprio business.
L'idea alla base del commerce network è che le aziende raramente possono vantare una produttività del 100%, basti pensare alle giacenze di magazzino, ai tavoli vuoti al ristorante o alle ore inoperose delle produzioni artigianali... Se però l'azienda entra nel circuito di scambio complementare riceve subito un pacchetto di ?crediti' che può spendere in qualunque altra impresa del network; in tal modo può fare acquisti senza aver bisogno di liquidità e, al tempo stesso, ha la possibilità di allargare il proprio giro di clienti e di vendere gli eventuali ?esuberi' ad altri partner della rete.
Così un'azienda come la Print Adv, per fare qualche esempio, ha allargato in pochi mesi il proprio bacino di una ventina di clienti, con l'opportunità di far lavorare le macchine di stampa anche nei tempi morti della produzione, mentre la Dream Car, concessionaria alle prese con la rapida svalutazione dei veicoli (specialmente quelli usati), è riuscita a smaltire con più facilità il proprio parco macchine. Le aziende che promuovono e coordinano il commerce network (come appunto la VisioTrade Spa o la BexB) beneficiano in genere di una commissione sulle vendite o di una quota annuale di adesione, e in cambio mettono a disposizione delle imprese aderenti i propri ?trader', cioè consulenti che aiutano a trovare nuovi clienti. Il sistema, come si è detto, funziona a patto di mantenere l'equilibrio tra debiti e crediti, il che si ottiene ad es. chiedendo ai partner di estinguere i propri debiti entro 12 mesi.
Sistemi regionali
Il meccanismo descritto, in alcuni casi funziona talmente bene che viene esteso a un'intera regione. E' il caso del Sardex che, come lascia intuire il nome, è nato in Sardegna nel 2009 a opera di quattro giovani intraprendenti, ispiratisi anche loro al sistema dei Wir svizzeri. Il Sardex, cui oggi aderiscono oltre 400 aziende, può servire ad acquistare qualunque cosa, esclusi benzina, farmaci ed energia elettrica. Gli euro continuano a essere usati per pagare l'Iva, le imposte e i contributi previdenziali; il che rende il sistema trasparente e legale, e impedisce l'evasione perché nella galassia Sardex tutto è tracciato in tempo reale. Come nei sistemi suddetti, anche il Sardex ha un'esistenza solo ?virtuale': attualmente circa un milione di Sardex si trovano in internet, per la precisione su un server ubicato a Serramanna, paese in provincia di Cagliari. Nel caso del Sardex, per semplicità si è deciso di far equivalere 1 Sardex a 1 euro, ma la scelta è discrezionale, si tratta di una convenzione.
Il Simec ad es. (che sta per ?Simboli econometrici di valore indotto') introdotto nel 2000 in Abruzzo, era ?quotato' con valore doppio rispetto alle lire d'allora. A differenza del Sardex, il Simec ha però avuto vita breve, come pure l'Ecoaspromonte, introdotto in Calabria nel 2003. Un esempio di successo è invece rappresentato dallo Scec (Solidarietà ChE Cammina), nato a Napoli e usato oggi in 12 regioni, dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia, con 10.000 associati e 2.000 imprese inserite nel circuito degli scambi. Lo Scec "formalmente e fiscalmente è uno sconto" spiega Pierluigi Paoletti, attuale presidente del circuito, "per cui i commercianti accettando una parte di pagamento in Scec aiutano i cittadini ad acquistare beni ai quali altrimenti dovrebbero rinunciare. Ma a differenza di un normale sistema di sconti i venditori non perdono gli Scec ?scontati', perché possono riutilizzarli presso le altre attività del circuito". Tuttavia, più che uno sconto "si tratta di un dono che tu fai a un altro membro della comunità affinché lui spenda i suoi soldi lì". Il che riconduce alla dimensione etica e di diritto sociale che può avere questa forma di finanza: secondo il pensiero di Giacinto Auriti, il giurista italiano che ha messo in circolazione il Simec, "i cittadini possono, per convenzione, creare il valore della moneta locale senza interventi dello Stato o del sistema bancario; sostituendo alla sovranità illegittima della Banca Centrale Europea la proprietà della moneta, quale prerogativa dello Stato, a favore dei singoli cittadini".
Moneta "virtuale" online
La sfida oggi è riuscire a diffondere le monete complementari dal livello commerciale e imprenditoriale a un livello che veda coinvolti sempre più i consumatori e i cittadini. Una prospettiva in tal senso è costituita dal Dropis, nuova piattaforma virtuale che mette in comunicazione le persone per favorire lo scambio di prestazioni lavorative, prodotti o servizi. Si tratta di una start-up di due giovani, Sebastiano Scrofina e Leonardo D. Perna, interessati a promuovere una moneta peer-to-peer dove ognuno possa agire come una banca centrale di se stesso. In pratica, chi vorrà vendere qualcosa in rete potrà assegnarsi via internet dei Dropis equivalenti a quanto vuole incassare. "I Dropis sono baratti di promesse" spiega Scrofina, "garantiti dai beni o dai servizi disponibili, e subito spendibili in rete per chi li vuole accettare". Per agevolare gli scambi è stata creata anche un'applicazione su facebook, dove si può selezionare dai contatti le persone con cui avviare un'attività di baratto e il tipo di prodotto: oggetti, servizi, lezioni private e persino cibi fatti in casa o coltivati nel proprio terreno.
L'economia senza moneta si sta affermando da qualche tempo anche oltre i confini italiani, come dimostra il caso dell'Ecuador, che ha inviato i dirigenti della Banca centrale a studiare il sistema del Sardex, o il caso del Brasile: dove il Banco Palma, sistema di moneta complementare al real, nato in un quartiere povero di Fortaleza, è oggi diffuso in ben 7 Stati del paese sudamericano.