Pakistan
di Redazione
"Non possiamo applicare le categorie dell'Occidente a Paesi che con l'Occidente non hanno nulla a che fare". Padre Antonio Albanese interviene sul caso che sta scuotendo il mondo dell'umanitario.
"Quello che è stato versato è davvero il sangue dei martiri e non posso che esprimere il mio cordoglio per le vittime." Padre Antonio Albanese, responsabile delle riviste missionarie della Cei, giornalista e blogger di Vita, interviene dopo il drammatico bilancio degli attentati in Pakistan, dove 9 volontari sono rimasti uccisi durante gli attacchi alla campagna anti-polio, promossa da Unicef e Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche se gli attentati non sono ancora stati rivendicati, i sospetti conducono ai gruppi di estremisti islamici presenti sul territorio, da sempre contrari alle vaccinazioni, considerate, secondo una credenza popolare, un tentativo di sterilizzazione della popolazione musulmana da parte dell'Occidente. In seguito agli attacchi, l'Organizzazione Mondiale della Sanità e l'Unicef hanno sospeso la campagna anti-polio, che sarebbe servita a vaccinare circa 5 milioni di bambini. Il Pakistan rimane uno dei pochi paesi al mondo in cui la polio rimane endemica.
"Quello che è successo ci spinge ad una riflessione profonda, sulle modalità di questo tipo di iniziative." Secondo Padre Albanese, gli interventi in aree così delicate non possono prescindere dalla costruzione di una comunicazione chiara in cui la mediazione culturale gioca un ruolo fondamentale.
"Fino ad ora le nostre politiche nello scacchiere mediorientale non sono state rese intelligibili alla gente. In quei paesi abbiamo investito molto di più in interventi militari che in cooperazione ma per portare avanti delle politiche efficaci, in grado di sradicare i fenomeni violenti generati dall'estremismo, l'unica arma che possa funzionare è quella culturale. Bisogna agire sulle popolazioni impoverite, sulle persone che spesso si ritrovano ad essere sia vittime che carnefici."
Gli attentati ai volontari, rendono ancora più urgente la necessità di capire le criticità dei territori in cui si interviene e attivare canali che rendano comprensibile alle comunità locali gli interventi di cooperazione. "E' necessario che l'Occidente giustifichi la propria presenza in quei territori, informando le popolazioni sui propri progetti, chiarendo quali sono gli intenti ed evitando di veicolare messaggi equivoci. Accanto agli interventi umanitari devono essere effettuati degli investimenti, nell'informazione e nella formazione delle comunità locali. Se vogliamo essere d'aiuto in quei luoghi, come società civile, bisogna capire che la vera sfida è quella culturale. "