L'indagine realizzata dal Censis per il Forum Ania-Consumatori: il 63% ritiene che non offre una buona copertura per i diversi rischi, per il 75% non riesce a contenere le diseguaglianze sociali, per il 79% costa troppo al bilancio pubblico.
Un sistema di welfare che funziona male e coprirà sempre meno. Cresce la sfiducia dei cittadini nell'attuale sistema di welfare: il 63% ritiene che non offre una buona copertura per i diversi rischi, per il 75% non riesce a contenere le diseguaglianze sociali, per il 79% costa troppo al bilancio pubblico. Considerati questi presupposti, non stupisce che per l'86% degli italiani il welfare debba essere assolutamente cambiato per rispondere meglio ai nuovi bisogni di protezione, come la non autosufficienza. I cittadini non vogliono solo tagli, ma anche razionalizzazione ed efficienza: il 62% pensa che in sanità le manovre di finanza pubblica tagliano i servizi, senza eliminare sprechi o razionalizzare le risorse. È quanto emerge dalla seconda indagine «Le nuove tutele oltre la crisi. Il welfare possibile per giovani, migranti e non autosufficienti» realizzata dal Censis per il Forum Ania-Consumatori (fondazione promossa dall'Ania che vuole rendere sistematico il dialogo tra imprese di assicurazione e consumatori) e presentata a Roma presso l'Auditorium dell'Ara Pacis.
Autotutelarsi è inevitabile. Il 63,6% degli italiani pensa che nel futuro l'ampiezza della copertura pubblica avrà una contrazione. Le famiglie reagiscono a questa crescente sfiducia appoggiandosi ancora di più alle forme tradizionali di autotutela. Per tutelarsi dal rischio di eventi imprevisti l'83,9% cercherà di risparmiare, l'80,4% di assumere comportamenti molto cauti (ad esempio, adottando stili di vita salutari, oppure facendo controlli medici periodici), il 76% confida nella capacità di adattamento della famiglia, altri invece ritengono opportuno l'utilizzo di strumenti specifici come le polizze danni (32,3%), le polizze vita o i fondi pensione (30,4%). Già ora le forme di autotutela privata raggiungono un valore di quasi 28 miliardi di euro annui per la spesa sanitaria privata (+2,3% nel periodo 2008-2011) e di circa 11 miliardi di euro per l'assistenza privata per anziani e non autosufficienti.
Cosa fare per migliorare il sistema di welfare. A fronte di questo sistema sempre più inadeguato e oneroso, oltre il 54% dei cittadini parla apertamente e con grande pragmatismo della necessità di razionalizzare il welfare pubblico, selezionando i servizi e gli interventi necessari alla popolazione e tagliando il resto. Per l'86% è necessario far pagare il welfare in relazione al reddito delle persone che lo utilizzano. In questo quadro generale, si aggrava l'asimmetria tra la copertura di welfare e i bisogni di alcuni specifici gruppi sociali. Le zone d'ombra della protezione sociale riguardano i Neet (giovani che non lavorano, non studiano e non cercano occupazione), i nuovi bisogni di tutela dei migranti, la non autosufficienza degli anziani.
Non autosufficienza, ci pensa la famiglia. Paradigmatica della inadeguatezza del nostro sistema sociale è la condizione degli anziani non autosufficienti che, secondo stime del Censis, ammontano attualmente a 2,2 milioni, il 3,9% del totale della popolazione italiana. In Italia è ampiamente diffuso un modello di assistenza familiare, tanto che i familiari stretti rappresentano i caregiver nel 73,5% dei casi. Il problema è che quasi in un caso su tre (il 29,3%) il carico assistenziale viene assorbito interamente dalla famiglia dell'anziano. Per questo motivo, gran parte degli italiani sottolinea l'importanza del potenziamento dei servizi di assistenza: il 43,8% indica l'assistenza domiciliare, il 34,1% richiede soluzioni di sostegno economico diretto alle famiglie. La maggioranza degli italiani è ormai convinta che per affrontare la non autosufficienza dovrà contare solo sulle sue forze, perché i costi sono alti e la copertura pubblica scarsa: risparmiando, integrando l'assistenza pubblica con l'acquisto di servizi privati, oppure assicurandosi contro la non autosufficienza. Solo il 15,2% ritiene sufficienti gli attuali servizi pubblici.
Bamboccioni per forza. Sono oltre 6,9 milioni (il 52,9%) i giovani di 18-34 anni che vivono con almeno un genitore, mentre i Neet sono 3,2 milioni (il 23,9% dei giovani con età compresa tra 15 e 34 anni). Per questa categoria risulta dominante il problema del lavoro e delle relative difficoltà ad accedere a questo mercato. Il 60% degli italiani pensa che sia ingiusto pagare meno o dare meno tutele ai giovani che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro. Tuttavia, quasi il 92% ritiene che per i giovani sia opportuno accontentarsi del primo lavoro che capita, anche se a basso reddito o non adeguato al titolo di studio, pur di entrare in gioco. Non a caso, riguardo gli interventi per i quali sarebbe importante migliorare il welfare attuale con nuovi strumenti monetari (come sussidi, servizi, ecc.) oltre il 37% dei giovani richiama la precarietà del lavoro, il 29,2% la perdita dell'occupazione e il 33,6% la disoccupazione di lunga durata.
I nuovi bisogni dei migranti. Vivono in Italia con l'ambizione di migliorare il proprio status economico, mettere radici costruendo casa, fornire una buona istruzione ai propri figli. Sono ottimisti sulle loro chance di integrazione, visto che quasi il 79% pensa che nel mondo del lavoro i più bravi non rimarranno confinati in lavori umili e a basso reddito, mentre il 53,2% ritiene che i più abili emergeranno nell'imprenditoria. Considerando i servizi di welfare cui si accede tramite lo strumento Isee, i migranti richiedono più asili nido e scuola rispetto alle famiglie tradizionali (richiesti dal 44,8% contro il 30,3% degli italiani, che si concentrano sui servizi socio-sanitari). Dall'indagine emerge poi un rischio di competizione tra questi soggetti sociali, visto che il 48% degli italiani pensa che i migranti prendano più di quello che danno al sistema di welfare, mentre solo il 16% ritiene che questa popolazione dia più di quel che riceva in cambio.