Giurlani (Uncem Toscana): «E' finita male così come male era iniziata».
In molti (anche tra chi oggi le difende) nella passata campagna elettorale auspicavano l'abolizione delle province, poi il governo tecnico, credendo di trovare la strada spianata dagli ex rottamatori, aveva ripiegato su un cervellotico accorpamento che aveva creato impossibili unioni ed un misterioso sistema di elezione di presidenti e giunte che avrebbe "evirato" i poteri delle province e le avrebbe consegnate ad uno status di "secondo livello" nel quale nessuno capiva più come fare a restituire a questi enti depotenziati rappresentanza politica e territoriale.
Gli ultimi fuochi della polemica, con il campanilismo livornese e pisano come esempio nazionale, aveva visto il nuovo smembramento della maxi-provincia costiera toscana, con una giravolta di nuovi capoluoghi che aveva consegnato massesi e carrarini a Lucca ed i riottosi livornesi, illusisi di essere diventati maxi-capoluogo, ai "nemici" pisani. Poi è arrivato Berlusconi che ha rovesciato il tavolo da lui stesso apparecchiato del governo Monti ed ha spinto la modifica pasticciata delle province in un angolo inarrivabile dei provvedimenti non più approvabili. Ormai più che un rischio c'è la certezza che il decreto sul riordino delle Province salti.
Oggi il Senato voterà la pregiudiziale di costituzionalità presentata dal Pdl che, se passasse, farebbe decadere automaticamente il decreto, con un effetto paradossale, come spiega l' Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem )Toscana: «Le Province perderebbero tutti i loro compiti e le loro funzioni. Può darsi che il governo inserisca nel Ddl stabilità le norme che consentono una proroga, salvando le funzioni delle Province, che nel frattempo sarebbero rimaste le stesse di prima».
Come non dar ragione a Oreste Giurlani, presidente di Uncem Toscana e membro di presidenza del Consiglio delle autonomia locali della Toscana, quando dice: «Insomma siamo a rischio caos. Una revisione nata sulla scia della spending review, mai accettata dai territori e priva di uno sguardo più ampio da vera riforma istituzionale finisce nel peggiore dei modi. Oggi ci troviamo di fronte a due tipi di problemi. Il primo, appena accennato, di un caos istituzionale e del fallimento complessivo del taglio delle Province. Il secondo, con il quale sicuramente si troveranno a fare i conti gli amministratori provinciali, è il taglio già previsto di risorse per il 2013, che prescinde dalla legge sulla revisione.
La gestione di scuole, trasporti, strade e rifiuti - le competenze principali delle Province - sono dunque a forte rischio. Il decreto Salva Italia, infatti, fissa al 31 dicembre di quest'anno la data entro la quale Stato e Regioni devono trasferire ai Comuni funzioni proprie delle Province. Così il risultato finale è quello di avere le stesse Province ma prive di funzioni. Una norma stralcio, alla fine, probabilmente sanerà questa situazione, come già affermano diversi presidenti di Provincia. Ma resta il pasticcio. E resta sicuramente il problema delle risorse a causa dei tagli pesantissimi effettuati dal Governo. Per il prossimo governo sarà sicuramente una grana in più».
A questo desolante quadro bisogna aggiungere quanto detto pochi giorni fa da Antonio Saitta, presidente dell'Unione province d'Italia, «Abbiamo cercato fino ad oggi un confronto franco con il Governo facendo valere le ragioni che emergono chiaramente dai dati reali e che dimostrano come queste manovre non ci permettano di garantire i servizi essenziali. Con i 500 milioni di euro di tagli previsti dalla spending review, le Province non hanno più i soldi nemmeno per pagare le bollette, e la legge di stabilità che si sta discutendo, che ci impone 1,2 miliardi di tagli¸ ci porterà al dissesto. Dobbiamo tutelare le nostre comunità, dobbiamo continuare a garantire i servizi ai cittadini e vogliamo potere pagare le imprese che lavorano per le nostre amministrazioni. Non abbiamo altra strada che rivolgerci ai giudici perché sia dimostrata l'iniquità di questi provvedimenti e per riavere quei 2,8 miliardi di euro che lo Stato ci deve e che sono delle Province».
Il tecnicismo di un governo armato solo di forbici e la cattiva politica di chi pensa solo ai fatti propri hanno trasformato quella che poteva essere una riforma dell'amministrazione italiana in un incubo burocratico ed il conto rischiano di pagarlo ancora una volta i cittadini.