Maurizio Gubbiotti, responsabile dipartimento internazionale Legambiente per greenreport.it

Con un'intera giornata di ritardo sulla data stabilita, anche la diciottesima Conferenza delle parti sui mutamenti climatici si è conclusa, ma ciò che ci consegna "Doha climate gateway", titolo del documento finale, è uno scenario molto allarmante e una strada molto impervia per la transizione verso un nuovo accordo globale da sottoscrivere entro il 2015 per essere poi operativo dal 2020, come diceva l'accordo di Durban dello scorso anno.

Come da troppo tempo accade, nonostante l'aspetto beneagurante del ragno nero "Maman" opera scultorea della grande artista contemporanea Louise Bourgeois, che proprio all'entrata della Conferenza stava a simboleggiare il rinnovamento continuo dei cicli della vita, a Doha i governi non sono stati in grado di mettere in campo quella volontà politica indispensabile per colmare con impegni concreti il preoccupante gap di 8-13 Gt di CO2 che c'è tra impegni di riduzione assunti e riduzione, indispensabile al 2020 per non superare i 2°C di riscaldamento del pianeta. Considerando che oggi noi stiamo viaggiando verso un riscaldamento stimato tra i 3.5°C e i 6°C che renderebbe invivibile questo Pianeta. Deludenti ed insufficienti inoltre i nuovi impegni tra i Paesi industrializzati nell'ambito del Protocollo di Kyoto, dell'Unione europea, Svizzera, Norvegia e Australia, impoveriti ancor più dal fatto che Stati Uniti (da soli pesano per il 16% con un record di 17 tonnellate procapite), Canada, Giappone, Russia e Nuova Zelanda hanno continuato a tenersi fuori dal protocollo. Non da meno è avere fuori ancora la Cina che da sola contribuisce per il 29% alle emissioni totali.

"Kyoto 2" però ce l'ha fatta ad emergere dal Qatar e rimane onestamente uno strumento indispensabile a garantire la transizione verso il nuovo accordo globale, rappresentandone l'architrave e garantendo la continuità degli impegni di riduzione legalmente vincolanti per il periodo di transizione 2013-2020. Sarà piuttosto importante che l'Europa decida da subito di impegnarsi con particolare determinazione non solo sulla riduzione ma anche per tradurre in impegni concreti il programma 2013-2020 di aiuti ai paesi poveri sul fronte della mitigazione, adattamento e risarcimento dei danni subiti per le conseguenze dei cambiamenti climatici, con un sostegno finanziario annuo iniziale di almeno 10-15 miliardi di dollari per arrivare nel 2020 ai 100 miliardi promessi ben tre anni fa a Copenhagen.

Soprattutto nelle ultime ore il rischio che tutto finisse decretando la morte definitiva di qualunque processo multilaterale sul clima è stato molto forte, e per dirla un po' con i Paesi dell'Alba Alternativa bolivariana delle Americhe, il compromesso di Durban era costruire un accordo comune sulla base di stanziamenti chiari nel Green Found e di impegni seri e vincolanti su Kyoto 2, ma non avendo fatto nulla di tutto ciò, il rischio è stato fare un passo indietro persino rispetto a Copenhagen. Fortissimo è stato il tentativo della Russia che volendo commercializzare i propri crediti di carbonio, oltre 5 miliardi di tonnellate, e alla guida di una pattuglia formata da Polonia, Kazakhstan, Bielorussia ed Ucraina, sostanzialmente al grido di rivendichiamo i diritti di emissione non utilizzati, minacciava di far saltare il tavolo. Alla fine però il compromesso per cui solo il 2,5% di questi crediti potranno essere commercializzati appare accettabile e quella sorta di Tobin Tax del 2% inserita all'ultimo momento su queste transizioni, finalizzata ancora al risarcimento danni, un fatto positivo.

Le ultime due osservazioni riguardano il fatto che in situazione di emergenza vera sul fronte dell'assenza e dell'inadeguatezza della politica e della mancanza di una governance mondiale, a Doha abbiamo assistito a un negoziato sempre più a porte chiuse, dove la decisione di portare a zero l'uso di carta per salvare, pare 150 alberi e che in Qatar con il più alto livello di emissioni procapite, e la benzina a 25 centesimi di euro ogni 4 litri è difficile pensare faccia la differenza, ha pure reso assai arduo lavorare su proposte di testi alternativi, e diffondere le proprie proposte ai delegati ed alla stampa. La seconda è la quasi totale assenza dei movimenti sociali e delle realtà della società civile se non all'interno della Conferenza, e tornando quasi alla formula di una volta che queste erano cose da ambientalisti.

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