WISE INCONTRI

Occorre cambiare il misuratore della ricchezza nazionale, cioè il Pil. E rincorrere una decrescita. Ovvero una riduzione volontaria della produzione di alcuni tipi di merci che si ritengono inutili o dannose a favore di quelle sostenibili.

di Francesca Vercesi

Il segreto per il futuro? Pensarla in modo diverso. Il perseguimento indefinito della crescita sembra proprio essere messo in discussione, tanto che si rende necessaria un'inversione di rotta. Per evitare un collasso dal punto di vista etico, ecologico e umano. Parola di Maurizio Pallante, saggista, fondatore del Movimento per la decrescita felice e esperto politica energetica e tecnologie ambientali. Secondo l'autore, insomma, sarebbe meglio cambiare il misuratore della ricchezza nazionale, ovvero il Pil. E rincorrere una decrescita. Ovvero una riduzione volontaria della produzione di alcuni tipi di merci che si ritengono inutili o dannose a favore di quelle sostenibili. Secondo Pallante, allora, occorre immaginare una società ecologica felice, dove ognuno riesce a porsi dei limiti, senza però per questo soffrirne.

Il suo ultimo libro, "La felicità sostenibile", ha avuto un grande successo. Nel futuro ce ne sono di nuovi in cantiere?

Sì, sto lavorando su due libri. Il primo si concentrerà sul concetto di decrescita per i ragazzi nell'arco di età che va dagli 8 ai 14 anni e che uscirà con la nostra casa editrice, le Edizioni per la decrescita felice. L'altro, invece, è una ricostruzione sotto forma narrativa di quei 30 anni che gli economisti definiscono gloriosi, vale a dire dagli anni '50 fino agli anni '80, e che invece sono stati quelli che ci hanno portato dove siamo ora. Il primo uscirà a settembre, l'altro probabilmente a dicembre.

Come nasce il suo pensiero?

Nasce dall'impegno ambientalista sulle questioni energetiche. La mia fortuna è stata quella di poter lavorare con il centro ricerche Fiat su un tema ben preciso: la riduzione degli sprechi. Così, al mio approccio umanista e filosofico, ho potuto unire quello tecnico ingegneristico. Così, anche dal punto di vista industriale ci sono interessanti progetti in ballo, nell'ottica della riduzione delle emissioni nocive.

Un esempio di spreco?

In Italia le nostre case consumano 20 litri di gasolio al metro quadrato l'anno mentre in Germania non si possono costruire case che consumano più di 7 litri al mq all'anno, per non parlare di quelle virtuose che di litri ne consumano 1,5. I tedeschi hanno adottato le stesse caratteristiche che si usano per gli elettrodomestici.

Parliamo di decrescita?

La decrescita non ha a che fare con la sobrietà ma con una tecnologia più intelligente. Va bene dunque consumare ma sprecando meno risorse possibile. Non è più tempo di crescita a tutti i costi e degli eccessi del consumismo, senza per questo andare in crisi. Siamo abituati ad associare il benessere con la crescita economica, cioè con l'aumento dei beni prodotti, misurato dal Pil, il Prodotto interno lordo. La crescita non può andare avanti all'infinito, ci sono limiti imposti dalle risorse disponibili e dalla necessità di salvaguardare l'ambiente. Inoltre, è indispensabile scegliere un modello alternativo, l'unico che ci può offrire un futuro sostenibile: la Decrescita Felice.

"Se vai in automobile da casa al lavoro consumi una certa quantità della merce carburante. Quindi fai crescere il Pil. Se lungo il tragitto trovi code e intasamenti, ci metti più tempo, ti stressi di più, ma consumi più carburante, quindi fai crescere di più il Pil. Se credi che il Pil (Prodotto interno lordo) misuri il benessere non puoi arrabbiarti?". Il concetto della validità del Pil come strumento di valutazione del benessere è messa in seria discussione?

Sì, perchè si limita a misurare la quantità delle merci scambiate con denaro. La ricchezza di un Paese non si può misurare con il Pil che è un indicatore monetario e che in quanto tale può quantificare solo le merci, gli oggetti e i servizi scambiati con denaro. La ricchezza di un Paese è nei beni che sono prodotti e nei servizi forniti. Non dovremmo più confondere il concetto di merce con quello di bene. Quindi dovremo anche cambiare il misuratore della ricchezza nazionale. E rincorrere una decrescita.

Quindi qual è la soluzione?

Trarre grandi benefici nella nostra vita quotidiana: dal ritorno all'autoproduzione dei beni alla creazione di orti comuni, da una nuova organizzazione per essere autosufficienti anche nei servizi (per esempio per l'assistenza a bambini e anziani) a idee brillanti per il risparmio energetico. E' una pericolosa illusione ipotizzare che si possa uscire dalla recessione riprendendo a fare quello che si è sempre fatto. Occorre aprire una fase nuova, esplorare una nuova frontiera. Solo così saremo felici. Meglio cominciare a capire che è importante sganciarsi dalla ideologia del nuovo come valore che è necessario collaborare. Così si potranno capire i vantaggi che danno la banca del tempo, i gruppi d'acquisto solidali (gas), il cohousing.

E i progetti per il futuro?

Nel prossimo mese di ottobre faremo una proposta al governo di politica economica per creare più occupazione nello sviluppo di tecnologie che riducono lo spreco di risorse, quelle che noi chiamiamo tecnologie della decrescita. Nel frattempo, stiamo vedendo che i privati stanno riscoprendo i vantaggi dell'autoproduzione. Faremo un convegno di tre giorni a Perugia con il patrocinio di comune, provincia e regione e, in quell'occasione, avanzeremo la proposta di legge.

Lei ha anche creato l'Università del Saper Fare. Ci spiega meglio?

E' un centro di formazione che ha come obiettivo quello di produrre la necessaria comunicazione per incentivare l'auto-produzione di beni. Attraverso l'Università de Saper Fare si intende contribuire alla diffusione delle informazioni necessarie per mettere chiunque nelle condizioni di diventare un auto-produttore, acquisendo rapidamente le nozioni indispensabili per affrontare l'auto-produzione domestica di svariati prodotti. Oltre a Torino e Roma, il progetto si sta sviluppando anche a Milano, Brescia, Bergamo, Mantova come nascita di circoli della decrescita felice. La città di Bergamo, per esempio, si sta facendo dare un terreno agricolo ai margini della cità per la produzione di cibo per autoconsumo.

Tutto questo è molto interessante. Però ora è la volta dei Paesi emergenti che stanno entrando nella dinamica del consumismo, esattamente la stessa in cui siamo entrati noi 50 anni fa e che ora non pensano ad altro che a consumare?

Se lo faranno, possiamo rinunciare a ogni impegno. Ma parlando di emergenti, dato che tendono a copiare, se noi faremo dei cambiamenti di rotta, li faranno anche loro.

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