Un imprenditore di Mantova ha deciso di produrre bancali da imballaggio in chiave ecosostenibile, favorendone il riciclo e riducendo i costi energetici.
Sebastiano Guanziroli
Si chiamano bancali, o pallet, sono fatti di legno, a un occhio inesperto sembrano tutti uguali, e "servono solo a trasportare cose". Visti da questo punto di vista, non sembrerebbero avere una grande importanza sotto il profilo economico e, soprattutto, ambientale. E invece non è così, perché se si pensa che i pallet movimentano più del 90% delle merci a livello mondiale, la prospettiva cambia radicalmente.
In Italia c'è un'azienda che ha capito da molti anni l'importanza di applicare un'economia sostenibile anche a questo settore. Si chiama Palm s.p.a., ha sede vicino Mantova e ha nel suo presidente e amministratore delegato Primo Barzoni il motore che anima tutti i suoi progetti.
L'idea di Palm è che anche gli imballaggi possono comunicare valori sociali e ambientali, parlare di un prodotto e di un'azienda, diventare parte attiva e responsabile di una catena di fornitura sostenibile, e non semplicemente essere considerati un costo da abbattere il più possibile e con ogni mezzo.
Prima di capire cosa fa la sua azienda, bisogna capire come funziona il mondo del pallet. Che mondo è, dal punto di vista economico e ambientale?
Il legno è definito una commodity, una materia prima senza valore. Perciò viene comprato dove costa meno, spesso incentivando il disboscamento illegale. E non è l'unico aspetto di illegalità, perché ce ne sono molti altri, per esempio il mercato parallelo. L'Italia importa l'80% del legname, perlopiù da Paesi lontani, con un impatto negativo sui trasporti. Il problema fondamentale è che, mentre l'imballaggio finale dei prodotti è considerato importante dalle aziende perché "comunica" il prodotto stesso, il pallet è anonimo e legato solo alla logistica, quindi è solo un costo. La mia azienda invece cerca di dargli un'identità e un valore.
Anche la sua azienda all'inizio si è adeguata al mercato. Che cosa le ha fatto cambiare prospettiva?
Una presa di coscienza. Intanto ho viaggiato all'estero rendendomi conto che c'erano Paesi con legislazioni molto avanzate, per esempio la Germania che già dal '92 ha reso i produttori responsabili degli imballaggi. Ma la scintilla è scattata durante una vacanza in Tirolo, dove ho avuto occasione di parlare e fare amicizia con dei forestali. Mi spiegarono che per loro non c'era un futuro, perché il sistema economico non riconosceva l'importanza della gestione del legno e delle foreste. Da lì è scattata la molla che mi ha spinto verso la gestione sostenibile delle foreste e, soprattutto, verso la valorizzazione di chi ci lavora, cioè l'uomo.
Cos'è quindi il "pallet ecosostenibile" che produce Palm?
Il nostro obiettivo è ottenere risparmio economico e tutela ambientale. Progettiamo quindi per ottimizzare peso e volume dell'imballaggio a parità di prestazione, nell'ottica di impiegare meno materia prima. Riduciamo anche i rifiuti prodotti, favorendo il più possibile riciclo e riuso dei materiali. Scegliamo fornitori che applicano la sostenibilità, sia in termini di diritti umani dei lavoratori che di uso di fonti di energia rinnovabili. I nostri pallet sono tracciati come provenienza e certificati PEFC e SFC. E oggi valorizziamo anche il concetto del "km zero": il 30% circa del legname arriva da boschi locali, collocati lungo l'alveo del Po. Ne useremmo di più ma purtroppo è proprio il legno a mancare. Così abbiamo promosso un'iniziativa per la piantumazione di pioppi, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dell'economia e dell'agricoltura del territorio e ridurre l'impatto ambientale dovuto al trasporto del legno su lunghe distanze.
Si può quantificare il risparmio ecologico dei pallet ecosostenibili?
Riduciamo di circa il 50% la produzione di CO2. Se poi consideriamo il ruolo di boschi e foreste che producono ossigeno e trattengono CO2, e che anche quando diventa imballaggio il legno continua ad avere questa funzione di immagazzinamento, i vantaggi diventano davvero grandi.
Palm è sola su questa strada o in compagnia di altre aziende?
No, non siamo soli, stiamo creando una rete e un'associazione che diventi punto di incontro per produttori e distributori, perché da soli si fa molta fatica a operare un cambiamento, bisogna essere in tanti. Impieghiamo l'Etichetta AssoSCAI (Associazione per lo Sviluppo della Competitività Ambientale d'Impresa) per promuovere una filiera sostenibile informando in modo chiaro sulla materia prima legno, sull'energia elettrica proveniente da fonte rinnovabile, sulla riciclabilità nonché sulla possibilità di recupero energetico. E infine promuoviamo il "Manifesto per un imballaggio sostenibile" per sensibilizzare la grande distribuzione.
Che cosa insegna la sua esperienza, considerando che durante la crisi mondiale la sua azienda ha assunto personale per la ricerca e sviluppo, senza usare nemmeno un'ora di cassa integrazione?
Sono convinto che si debbano valorizzare l'uomo e le economie locali, non limitarsi "a fare un prodotto", ma coinvolgere gli altri nel progetto d'impresa. L'uomo deve essere al centro dell'impresa e la globalizzazione deve essere uno strumento di equità. Più che di "decrescita" io preferisco parlare di "ri-crescita": ammettiamo di aver indirizzato l'economia verso un punto sbagliato e ripartiamo da un punto di vista diverso.