COP 18 in corso a Doha.
Il nostro Paese sale al 21esimo posto nella classifica di Germanwatch: cinque anni fa eravamo 48esimi.
Roberto Giovannini
Qualche passo in avanti, sulla difesa dell'ambiente dal rischio del cambiamento climatico, l'Italia lo sta facendo davvero. Ieri a margine della COP 18 sul clima in corso a Doha, in Qatar, è stata presentata la classifica di Germanwatch, il rapporto annuale sulla performance climatica dei principali paesi della Terra, realizzato in collaborazione con il Climate Action Network (CAN) e Legambiente per l'Italia. Ebbene, quest'anno il nostro paese sale al 21esimo posto nella classifica di Germanwatch; cinque anni fa eravamo al 48esimo posto.
La performance dei singoli stati è stata valutata attraverso il «Climate Change Performance Index» (CCPI), che prende in considerazione quattro parametri principali: il livello delle emissioni, che pesa per il 30% dell'indice complessivo; il trend delle emissioni nei principali settori (elettrico, industria, costruzioni, trasporti, e abitazioni), che pesa per il 30%; l'uso di energia rinnovabile, che pesa per il 10%; l'efficienza energetica, che pesa per il 10%; e la politica per il clima per il 20%. Inoltre quest'anno per la prima volta sono stati presi in considerazione anche i dati sulle emissioni provenienti dalla deforestazione. Questo ha determinato una discesa in classifica di paesi come Brasile e Indonesia, dove la deforestazione ha un forte impatto sulle emissioni globali.
Tornando alla classifica della Germanwatch, quest'anno Danimarca (4° posto), Svezia (5°) e Portogallo (6°) guidano la graduatoria dei 61 paesi presi in esame dal rapporto, che anche quest'anno non ha assegnato i primi tre posti della graduatoria. Una scelta simbolica, per dire che nessun paese al mondo ha messo in campo azioni virtuose in grado di contribuire a limitare le emissioni al disotto dell'obiettivo dei 2°C. La "top ten" della classifica 2013 è ancora una volta dominata da paesi europei. Occorre però sottolineare che stati come Olanda e Polonia presentano una performance di gran lunga al disotto della media; mentre paesi come Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda e Grecia, hanno fatto considerevoli passi in avanti anche grazie alla riduzione delle emissioni dovuta alla recessione di questi ultimi anni. Non va comunque dimenticato che in tutti gli stati dell'Unione europea - inclusa l'Italia - dal 1990 al 2011 si è registrato un disaccoppiamento strutturale tra riduzione delle emissioni e crescita del PIL.
Secondo la Commissione europea tra il 1990 e il 2011 nei ventisette paesi dell'Unione si è avuta una riduzione del 17,5% delle emissioni e un aumento del 48% del PIL. Infine uno sguardo agli Stati Uniti, che si piazzano al 43° posto e registrano rilevanti passi avanti per quanto riguarda la riduzione di emissioni conseguente non solo alla crisi economica, ma anche alla riconversione di molte centrali da carbone a gas. Un piccolo miglioramento anche per la Cina (54°), che nonostante continui ad aumentare pericolosamente le sue emissioni, ha visto migliorare l'efficienza energetica del suo sistema produttivo.
Negli ultimi cinque anni - spiega Mauro Albrizio, responsabile Politiche Europee di Legambiente - l'Italia ha fatto significativi passi in avanti. Performance dovuta alla riduzione delle emissioni conseguente non solo alla recessione, ma anche al ruolo importante giocato dalle rinnovabili e dall'efficienza energetica negli ultimi anni. I progressi fatti fino ad ora rischiano però di essere compromessi dalla Strategia energetica nazionale (SEN) presentata dal governo. La SEN, invece, di puntare decisamente alla riduzione del consumo e delle importazioni di fonti fossili, individua, sia per l'efficienza energetica che per le fonti rinnovabili, strategie generiche e strumenti inadeguati a raggiungere gli obiettivi previsti e propone un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, che appare sbagliata oltre che incoerente».