Husam Hamdouna, Direttore Generale del REC
Per capirlo è fondamentale conoscere il dato che riguarda le perdite e i danni di quest'ultima aggressione.
Sul fronte palestinese:
1. Perdite:
- 175 martiri: 50 bambini, 11 donne, 19 anziani, 2 giornalisti, 2 persone dello staff medico;
- 1399 feriti: 606 bambini, 255 donne, 91 anziani, 5 giornalisti, 4 persone dello staff medico, 27 persone in terapia intensiva.
2. Danni alle infrastrutture:
- 963 abitazioni private, di cui 92 completamente distrutte;
- 10 ospedali/cliniche, 52 scuole, 2 Università, 15 sedi di ONG, 30 moschee, 14 redazioni dei media, 92 fabbriche, 8 Ministeri, 14 stazioni di polizia, Banca nazionale islamica, 3 parchi pubblici, 2 hotel, 3 cimiteri, 1 centro dell'UNRWA, il Palazzo di Abu Khadra che ospita diversi dipartimenti ministeriali
3. Veicoli danneggiati: 34 automobili
Per determinare le perdite sul fronte israeliano, chi scrive non ha abbastanza informazioni. Immaginiamo le perdite e i danni subiti in questa guerra siano notevolmente inferiori, considerata la forza d'Israele.
Questa guerra è finita, lasciando spazio alle tante analisi politiche, basate per lo più su chi sia il reale vincitore di questa guerra, se ne seguiranno altre e su come influiranno sul caso palestinese.
Ma guardando agli effetti psicologici di questo conflitto tra i palestinesi, molti tra loro vivono un sentimento di vittoria e orgoglio, conseguenze del processo di reazione che hanno sviluppato verso le aggressioni militari israeliane. In passato i palestinesi non erano in grado di gestire quella violenza israeliana che genera paura, debolezza, dolore e sofferenza tra loro. E questo non significa che i palestinesi non abbiano sofferto nell'ultima guerra. (Piuttosto si sono "abituati")
Ci sono tre grandi orientamenti nella società palestinese.
Il Primo: i palestinesi devono sviluppare maggiormente il proprio potere militare, al fine di affrontare e combattere Israele. A pensarlo sono coloro che sono convinti che l'uso della forza sia fondamentale per risolvere il conflitto degli arabi palestinesi e ottenere il diritto a costruire uno Stato Palestinese in tutti i territori della Palestina storica.
Il Secondo: la situazione attuale tra palestinesi e israeliani è destinata a non avere soluzione, e i conflitti come questo si susseguiranno continuamente
Il Terzo: oggi esiste la reale possibilità di risolvere il conflitto, basata sulla costruzione di due Stati. Questo perché gli israeliani iniziano a riconoscere la presenza di una forza che ne minaccia l'esistenza stessa. Chi sostiene questo tipo di soluzione del conflitto crede nella formula dei 2 Stati come elemento di sicurezza per entrambi i popoli. Senza dimenticare che, dal punto di vista palestinese, il più grande ostacolo al raggiungimento della pace sono gli israeliani.
Se la prima e la seconda tesi fossero corrette, allora il conflitto in corso sarà esacerbato e il cerchio della guerra tra israeliani e palestinesi sarà insoluto per lungo tempo.
Qualora la terza ipotesi, quella della formula "Due Stati per due popoli", dovesse realizzarsi, tutti noi - sia palestinesi che israeliani - dovremmo far attenzione a una pace fittizia, che non nasce dal reale convincimento dei due popoli a vivere insieme. Pace significa pace sociale, rispetto reciproco e costruzione di un futuro sicuro per entrambe le parti oggi in conflitto.
La ragione di questa perplessità è che nessuna delle due parti è in grado al momento di raggiungere la pace sociale all'interno della propria società: ad esempio, nella società israeliana manca il rispetto tra arabi israeliani e musulmani, tra israeliani orientali e occidentali, così come nella società palestinese manca il rispetto tra chi appartiene a Fatah e chi ad Hamas.
La cultura della pace deve affermarsi prima all'interno delle due società - palestinese e israeliana -, e poi tra i due Stati: dovremmo comprendere che la pace è prima di tutto qualcosa di culturale legato al comportamento di ciascuno, prima ancora di divenire decisione o trattato tra Governi.
Speriamo che la decisione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 2012, in merito alla richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese a membro osservatore, possa essere un passo importante verso il raggiungimento della terza ipotesi, e che lo Stato palestinese e quello israeliano riflettano su cosa questo significhi davvero.