Francia, Spagna e Danimarca per il sì, la Germania si accoda agli USA ed è contraria.
Terzi: l'Europa avrebbe dovuto decidere compatta.
Paolo Mastrolilli, inviato a New York
Il voto di stasera all'Assemblea Generale dell'Onu sullo status della rappresentanza palestinese ha diviso l'Europa, con l'Italia impegnata in un difficile tentativo di mediazione, finalizzato soprattutto a creare le condizioni per la ripresa del negoziato di pace dopo l'approvazione della risoluzione.
Non ci sono dubbi che l'Autorità presieduta da Abu Mazen otterrà la maggioranza semplice dei 193 Paesi membri, necessaria per ottenere la qualifica di Stato osservatore non membro, come la Santa Sede. Il problema è cosa accadrà dopo, e per questo Roma avrebbe preferito che l'Unione Europea si fosse astenuta in maniera compatta. Ma Francia, Spagna, Danimarca, hanno accelerato per il sì, provocando la reazione opposta della Germania. A quel punto la Gran Bretagna ha dichiarato che si asterrà, a meno che prima del voto Abu Mazen non si impegni a riprendere il negoziato senza condizioni, e rinunci ad aderire alla Corte Penale Internazionale: in questo caso, Londra potrebbe votare a favore. L'Italia ha una posizione simile, che parte dall'astensione, ma potrebbe cambiare in base agli ultimi sviluppi.
Il ministro degli Esteri Terzi ha spiegato che il voto italiano confermerà «il sostegno alla statualità palestinese, che risale già al 1980 ed è stato rafforzato costantemente con il tempo. Ma, allo stesso tempo, vogliamo che emerga e sia riaffermato il convincimento della comunità internazionale del diritto alla sicurezza di Israele. Dalla dichiarazione e dal testo finale dipende la possibilità del rilancio o dell'arretramento del processo di pace», e Roma si sta adoperando affinché le uscite prima e dopo il voto siano positive. Terzi ha giudicato «sgradevole» che la Ue non abbia trovato una posizione comune. «Forse sono mancate le condizioni, i tempi e la possibilità» di concordarla, e ciò indebolisce la capacità negoziale dell'Unione. L'Italia però guarda al futuro e punta a una posizione di equilibrio, che le consenta di favorire la ripresa del processo di pace, e tenere insieme sul piano interno le varie anime del suo governo. Prima degli scontri a Gaza, questa linea avrebbe potuto portare anche alla bocciatura della risoluzione; dopo, con i risultati ottenuti da Hamas, è diventato importante rafforzare l'ala moderata che fa capo ad Abu Mazen, pur evitando di irritare Israele e gli Usa. In questo quadro l'astensione, insieme ai britannici, potrebbe rappresentare la soluzione migliore, a meno che il leader dell'Anp non faccia mosse concrete in favore del negoziato.
L'anno scorso Abu Mazen aveva chiesto il riconoscimento dello Stato palestinese al Consiglio di Sicurezza, ma non aveva trovato i voti. Quindi si è rivolto all'Assemblea Generale: qui basta la maggioranza semplice e non ci sono veti, e quindi la risoluzione passerà. Israele l'ha bocciata come tentativo di arrivare al riconoscimento della Palestina aggirando il negoziato, e teme che Abu Mazen usi la condizione di Paese osservatore per denunciare lo Stato ebraico alla Corte Penale Internazionale. Gli Usa hanno tentato di evitare il voto, da ultimo con un incontro ieri tra Abu Mazen e il sottosegretario Burns. Ma il leader dell'Anp, indebolito dai fatti di Gaza, ha deciso di andare avanti.