Luca Aterini
«La crisi ha impartito lezioni a tutti. La sostenibilità futura dei sistemi sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri - ha avvertito ieri il presidente del Consiglio, Mario Monti - potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni. La posta in palio è altissima». Le parole del premier, giunte in teleconferenza durante la presentazione, a Palermo, di un progetto della Fondazione Rimed sulle biotecnologie, hanno immediatamente innescato reazioni a catena, tanto da dover costringere il ministro della Salute, Renato Balduzzi, a precisare che «Nessuno pensa alla privatizzazione del Servizio sanitario nazionale».
Non è dello stesso avviso la Cgil, che ha ribattuto a muso duro per bocca di Cecilia Taranto, segretaria nazionale Fp-Cgil, e Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp-Cgil Medici: «Le dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Monti sono gravi, anche se non fanno altro che confermare quanto scritto nell'Agenda del suo governo, fatto da noi denunciato per tempo e inutilmente smentito dal ministro Balduzzi. Il presidente del Consiglio non può permettersi certe preoccupazioni sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale dopo averlo ridotto all'osso».
Le preoccupazione per la «sostenibilità» della sanità pubblica si inserisce nel contesto di una crisi economica che non pare concedere tregua. Nonostante le ripetute luci in fondo al tunnel avvistate dal premier, l'Ocse nel suo ultimo rapporto rivede in negativo (rispetto alla diagnosi di maggio) le prospettive economiche dell'Italia: il Pil calerà quest'anno del 2,2%, e dell'1% nel 2013, registrando solo nel nebuloso 2014 un +0,6%. Una prospettiva ben peggiore di quella diffusa "ottimisticamente" dall'esecutivo, che prevede per il Pil del 2013 un -0,2% (anziché un -1%) e per il 2014 un +1,1% (anziché un +0,6%). Una discrepanza che lascia più di qualche dubbio sull'affidabilità di tali statistiche. Se i numeri dell'Ocse saranno confermati, afferma l'organizzazione parigina, «potrebbe essere necessaria una nuova stretta di bilancio nel 2014».
Una nuova manovra - l'ennesima - prontamente smentita dal ministro dell'Economia, Vittorio Grilli. Ma che rimane più di un'ipotesi. Nel caso venisse portata avanti, il sistema sanitario nazionale rientrerebbe certamente nei principali obiettivi su cui concentrare i tagli: Secondo lo studio Meridiano sanità di "The european house Ambrosetti" - riporta la Repubblica - la sanità pubblica tra il 2010 e il 2014 ha subito tagli per 26 miliardi, che salirebbero a 30 se si considera anche il 2015». Un drenaggio di risorse enorme: eppure, registra sempre l'Ocse in un altro rapporto (vedi grafico), la spesa sanitaria pro capite in Italia è pressoché paragonabile a quella della media europea. I margini per una razionalizzazione delle voci di spesa permangono, ma non siamo di fronte a quella voragine di soldi pubblici che ci viene presentata. Davanti al progressivo invecchiamento della popolazione italiana quello della sanità è un punto cruciale sul quale riflettere, non da smantellare. Investire sulla sanità (come sulla scuola e sulla ricerca) è investire per rendere un po' meno incerto il futuro di un paese che invecchia e non vuole bene ai suoi giovani
Dopo quasi sei anni dall'inizio della crisi, stupisce piuttosto come si continui a colpire sempre sugli stessi tasti, nonostante una manifesta incapacità delle politiche economiche messe in campo di aiutare l'Italia (e l'Europa) a rialzare la testa. Un accanimento ideologico, più che terapeutico, che ci indirizza verso uno smantellamento del nostro stato sociale, l'unica rete rimasta ad attutire la caduta economica. Davanti a tali, inadeguati interventi, quale credibilità rimane per chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini? In cambio di quale ripresa, di quale prospettiva?
La logica del mercato autoregolantesi, all'interno della quale trova poco spazio un welfare solido, è la stessa che ha permesso al Paese, con la sua industria, di navigare a vista negli ultimi decenni, con risultati ormai sotto gli occhi di tutti. Ascoltando unicamente la logica del mercato, anche l'Ilva di Taranto - la più grande acciaieria d'Europa, che oggi sta crollando sotto il peso delle mancanze messe in evidenza dalla magistratura - avrebbe potuto continuare a muoversi liberamente nella nostra economia, producendo al contempo acciaio e danni ambientali. Tanto che adesso l'unica scappatoia per rispettare l'esigenza della bonifica e il diritto al lavoro degli occupati (20mila, tra dipendenti e indotto), è un atto emergenziale da parte del governo, forse un commissariamento dei vertici aziendali all'interno di una gestione controllata dallo Stato.
Tornare ad investire, ricalibrando le risorse esistenti (ma anche col coraggio di operare in deficit, consapevoli di produrre ricchezza) verso un nuovo e più sostenibile modello di sviluppo dovrebbe dunque rappresentare una priorità, piuttosto che dedicarsi ai tagli lineari al sistema sanitario nazionale, colpendo l'insieme dei cittadini. Alberto Quadrio Curzio, sul Sole24Ore, afferma che «per evitare il declino europeo, o governi degli Stati membri e le istituzioni della Ue o meglio quelle della Uem che hanno approvato un ferreo fiscal compact dovrebbero bilanciarlo con un vero e concreto accordo per la crescita concentrandolo sulle infrastrutture e sulla scienza o cui effetti sono notoriamente multisettoriali e diffusivi».
Se perfino l'Economist scrive che «per ridurre le disparità sono ancora importanti le riforme fiscali, il welfare e le regole dei mercati» e che «La concentrazione della ricchezza non favorisce il dinamismo economico. Produce solo rendite e monopoli», vuol dire che anche i più ferventi cantori del libero mercato hanno capito che questo tipo di capitalismo senza pietà uccide. Dispiace che Monti sia rimasto attardato nella retroguardia e non abbia compreso che solo reintroducendo elementi di equità si uscirà da una crisi che ha affondato il bisturi solo nelle carni di chi lavora.
Piuttosto che concentrarsi sulla sostenibilità della sanità pubblica, sarebbe più proficuo per il Paese se l'esecutivo si concentrasse sulla sostenibilità della nostra economia: una sostenibilità economica, sociale e ambientale. Tre gambe di uno stesso tavolo, che crolla quando anche solo una di esse viene a mancare. Un tavolo attorno al quale ognuno di noi si trova seduto.