La Tribune, Parigi
Al Consiglio europeo del 22 e 23 novembre i leader della zona euro hanno confermato la nomina del lussemburghese nel direttorio della Banca centrale europea, nonostante il Parlamento avesse votato contro.
Romaric Godin
Tutti sono d'accordo nel ritenere che l'Europa soffra di un deficit democratico, di una mancanza di legittimità e di un crescente disinteresse da parte dei cittadini. Tutti tranne i capi di stato e di governo della zona euro. Infatti in occasione del vertice europeo di venerdì scorso, questi ultimi hanno nominato Yves Mersch, l'attuale governatore della banca centrale del Lussemburgo, nel direttorio della Banca centrale europea (Bce), nonostante il voto negativo del Parlamento europeo.
Con questa nomina il Consiglio europeo dimostra il vero valore del Parlamento europeo, dopo che con il trattato di Lisbona ci era stato detto e ridetto che aveva ottenuto un "vero" potere. Non importa la ragione per la quale l'assemblea aveva respinto questa candidatura - in questo caso il fatto che Mersch fosse un uomo e non una donna. Un motivo che si poteva giudicare inaccettabile, ma in democrazia il voto del parlamento non può essere ignorato. Si tratta di una regola fondamentale, ancora più importante della regola aurea sul bilancio. Una regola però che non è inserita nei trattati europei.
L'arrivo di Mersch nel direttorio della Bce conferma la cattiva strada sulla quale si è avviata l'Europa. I capi di stato e di governo non vogliono sentire altra voce che la loro. Il fatto è che questo provoca dei problemi molto più spiacevoli della semplice nomina del lussemburghese. La gestione della crisi del debito - che da due anni consiste nel mettere cerotti su cerotti in occasione di "vertici di ultima istanza" che si succedono a ripetizione - è il frutto di questo metodo disastroso. Il recente fallimento dell'Eurogruppo sulla Grecia lo dimostra ancora una volta.
La creazione di un regime parlamentare europeo dovrebbe essere uno dei mezzi per creare quel sentimento di comunità su scala europea che oggi manca terribilmente. Questo comporterebbe una maggiore responsabilità degli elettori, dei parlamentari e dei capi di stato. Del resto fa impressione pensare che questi stessi capi di stato che oggi si sono puliti i piedi sul voto dei parlamentari di Strasburgo andranno domani con gli occhi commossi a deplorare l'astensione di massa che caratterizzerà molto probabilmente le prossime elezioni europee e a sospirare sul "male che mina la nostra democrazia".
Ma in realtà la nomina di Mersch è ancora più preoccupante di quello che sembra. Si tratta infatti della vittoria di una certa idea dell'Europa. Prima di tutto, sul piano monetario significa l'arrivo di un falco nel direttorio. Un falco che sarà la voce della Bundesbank e che certamente frenerà, almeno dall'interno, la partecipazione necessaria della Bce alla gestione della crisi in nome della "stabilità".
Inoltre, sul piano della rappresentatività dell'Europa, la nomina di Mersch conferma l'espulsione dal direttorio di un rappresentante permanente della Spagna. Del resto Madrid si era espressa contro questa nomina. Non dobbiamo ingannarci: la Spagna è stata cacciata dal direttorio a causa della sue difficoltà. In altre parole, i paesi in crisi diventano paesi di serie B. Ancora peggio, i capi di Stato e di governo hanno ritenuto utile garantire nel direttorio un certo equilibrio fra nord e sud dell'Europa, confermando così una visione "etnica" del potere economico. Tutto questo è di cattivo augurio per la gestione del nostro continente.
Infine, la nomina di un lussemburghese conferma l'influenza eccessiva del Granducato nelle istituzioni europee, visto che il suo primo ministro è anche presidente dell'Eurogruppo. Possiamo anche credere che i sudditi di sua altezza reale Enrico di Lussemburgo siano più dotati degli altri, ma questa decisione ha ben altro valore nel momento in cui la stessa Commissione europea critica la reticenza di questo piccolo stato nella lotta contro i paradisi fiscali e mentre i grandi paesi lottano per risanare le loro finanze.
Traduzione di Andrea De Ritis