Francesca Sforza

C'è qualcosa che non funziona in un Paese che costringe i propri malati a scendere in piazza per non essere abbandonati al loro destino.  

E che lascia in tutti quelli che aiutano, che accudiscono, che prestano il loro tempo all'assistenza, la sensazione di essere dalla parte sbagliata. Forse non è chiara l'enormità di quello che è avvenuto ieri, a Roma, in via XX Settembre davanti al ministero dell'Economia, dove in mattinata si sono radunati una ventina di malati di Sla per chiedere che non fossero tagliati i fondi per la non autosufficienza. Lo avevano strillato in tutti i modi consentiti da una vita attaccata ai respiratori, niente, non si era mosso nessuno, si sono dovuti muovere loro.  

In genere a quell'ora il malato di Sla si tira su dal letto per sistemarsi su una carrozzina o su una poltrona, ma ci vogliono almeno due persone a gestire l'operazione, oltre che un apposito sollevatore (il cui prezzo va da un minimo di mille euro fino a oltre tremila). Ieri invece è stato costretto ad armare una squadra di volenterosi per arrivare fino al cuore del potere, sperando che non si fosse troppo indurito. Nel primo pomeriggio in genere il malato di Sla fa della fisioterapia fornita da convenzione Asl, e verso le cinque torna a letto. Dopo un paio d'ore viene attaccato alla peg, un tubicino inserito direttamente nello stomaco, e in questo modo, per tutta la notte, «mangia». Ieri invece ha dovuto aspettare in strada che qualcuno scendesse le scale per dargli un'assicurazione sulla sua vita. «Mio marito ha sei ore di autonomia - ha detto una signora nel video di Flavia Amabile per La Stampa.it -. Non abbiamo portato la corrente per ricaricare». E poi? «E poi si vedrà». Alla fine si è visto: il sottosegretario Polillo, che li ha incontrati, ha garantito il raddoppio dei fondi per la non autosufficienza, attualmente di 200 milioni di euro, e l'avvio del censimento delle persone non autosufficienti. In mezzo tutta una serie di distinguo sulla «rimodulazione delle disponibilità finanziarie esistenti» che ci si augura non si trasformi in fatali controindicazioni.

Si dirà che è una cosa eccezionale, che non succede mica tutti i giorni che dei malati siano costretti a scendere in piazza sulle loro carrozzine per pretendere cose che spettano loro di diritto. E allora è l'eccezione che si ripete, perché due giorni fa è stata la volta dei ragazzi del Cem, il centro di educazione motoria della Croce Rossa per cerebrolesi. Le madri guidavano le carrozzine sfidando il traffico davanti al Palazzo della Regione Lazio (la stessa che ha dato prova di saper organizzare magnifici festini) per protestare contro la chiusura del centro, che lascerebbe i loro figli senza cure e assistenza. E' sceso il commissario Enrico Bondi, ha concordato sul fatto che la situazione è inammissibile, e ha parlato di una «soluzione virtuosa» allo studio degli esperti.  

Che non fosse un Paese per vecchi si sapeva, che neanche i bambini ci si trovino alla grande è un dato di fatto, da ieri si ha la sensazione che non sia un bel posto neanche per i disabili. Troppo facile essere un Paese per soli sani, possibilmente benestanti.

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