Il 90% degli italiani sceglie di puntare su agricoltura, protezione dell'ambiente e dei beni culturali.
Barroso: «Si spendono miliardi per salvare le banche e si tagliano pochi milioni a favore dei poveri: come pensate che i cittadini possano mandarlo giù?»
Luca Aterini
Nove italiani su dieci affermano che l'agricoltura, la protezione dell'ambiente e dei beni artistici e architettonici «potrebbero rivelarsi fondamentali per la ripresa [dalla crisi economica, ndr] e sono invece ingiustamente trascurati». Ritengono che «l'investimento in questi settori permette di proteggere e valorizzare un patrimonio unico per l'Italia» e per una volta si riuniscono in una larghissima maggioranza nell'affermare che siano questi settori fondamentali sui quali puntare.
Certo, a parole è sempre e comunque fondamentale inneggiare al cambiamento dell'attuale paradigma economico, manifestando la volontà di rendere il nostro sistema di produzione e consumo più verde; quando si va però a toccare corde sensibili, come quelle rappresentate dal fenomeno Nimby o dalla necessità di ricalibrare consumi e stili di vita personali su orizzonti più sostenibili, spesso la larga maggioranza si sfalda rapidamente. Ciononostante, i risultati del recente sondaggio descritti da Renato Mannheimer sul Corriere della Sera rappresentano un indirizzo politico deciso, che i nostri rappresentati governativi dovrebbero far risuonare chiaro durante il negoziato sul bilancio pluriennale dell'Unione europea per il 2014-2020, che occuperà da domani gli uffici di Bruxelles.
Si tratta di un vertice fondamentale, dove «la posta in gioco - ha affermato il presidente della Commissione Ue, José Barroso - è la stabilità e la prosperità dell'Europa». A dire il vero, le cifre in ballo rimangono purtroppo relativamente modeste. Il bilancio annuale dell'Unione europea ammonta infatti a circa 142 miliardi di euro (dati del 2011), una somma ingente in termini assoluti, ma pari solo all'1% della ricchezza prodotta ogni anno dai paesi dell'Ue. Nonostante ciò, le prospettive con le quali ci avviciniamo all'incontro sono pessime.
Originariamente, la bozza presentata da parte della Commissione Ue prevedeva infatti un bilancio pluriennale pari a 1.033 miliardi di euro, circa l'1,1% del Pil dell'Unione. Regno Unito, Olanda, Svezia, Germania e Danimarca si sono però mostrate da subito arroccate su posizioni recalcitranti. In particolare, da oltremanica si chiede un taglio al bilancio pari a 200 miliardi di euro, 1/5 della somma totale. Una sforbiciata improponibile, davanti alla quale il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy ha cercato di mediare proponendo un taglio pari a 80 miliardi di euro, incidendo sui fondi strutturali, la politica di coesione, la Pac - politica agricola comune. Comunque un disastro. Il ministro italiano per gli affari europei, Enzo Moavero, ha subito precisato che «l'Italia è pronta a mettere il veto se l'accordo sul bilancio 2014-2020 non fosse equo per i nostri cittadini e fosse gravoso per il nostro paese». Non si tratta però di difendere semplicemente singoli interessi nazionali. È in gioco la stessa visione di Europa e del nostro futuro. Lo stesso Barroso (appartenente all'area di centrodestra!) davanti alla plenaria del Parlamento europeo ha sottolineato che «si spendono miliardi per salvare le banche e si tagliano pochi milioni a favore dei poveri: come pensate che i cittadini possano mandarlo giù?».
Antonio Tajani, commissario europeo all'Industria, sulle pagine del Corriere della Sera, sottolinea inoltre che «l'Europa deve rimettere al centro dell'agenda l'economia reale, l'industria, le imprese, senza le quali non si può uscire dalla crisi. Il 10 ottobre abbiamo approvato una strategia per invertire il declino industriale, con l'obiettivo di passare dall'attuale 15,6% di Pil legato all'industria al 20% entro il 2020». Tajani osserva dunque come «valga la pena di riflettere sull'attuale applicazione delle nostre politiche. L'Europa ha gli strumenti per navigare nelle acque agitate della globalizzazione. Abbiamo un'Unione monetaria e siamo il primo mercato al mondo, con poteri esclusivi sulla politica commerciale. Ma ci manca ancora unità d'intenti, per cui talvolta gli Stati Ue si dividono in guerriglie di difesa d'interessi nazionali di corto respiro, finendo per indebolire la nostra posizione globale. E vi è una tendenza a eccessi di rigidità nell'applicazione di regole e principi».
Se la trattativa non riuscirà a lenire la nazionalistica e dannosa disciplina dell'austerity propagandata dai paesi del Nord, saranno seriamente a rischio i già traballanti obiettivi di sostenibilità e occupazione che l'Unione stessa promuove all'interno del suo orizzonte Europa 2020. L'ex-presidente della Commissione Ue Jacques Delors, in un intervento su Project Syndicate, sottolinea l'importanza di un bilancio verde per l'Europa. «I dividendi promessi da un quadro finanziario pluriennale "verde" (che recentemente ha ricevuto il sostegno del Parlamento europeo), sono almeno tre - afferma Delors - una quota maggiore di posti di lavoro in uno dei settori economici a più rapida crescita nel mondo; bollette energetiche più basse per le famiglie in tutta Europa; una spinta per raggiungere quelle riduzioni delle emissioni di gas serra che tutti gli Stati dell'Ue hanno accettato come impegni della loro strategia Europa 2020 [...] Il benessere comune dell'Europa - anzi, il suo percorso più promettente per un futuro prospero - è in gioco».
Proseguire nel riordino del bilancio europeo che orienti fondi a favore dei settori della green economy della green economy è quanto mai auspicabile, ma rimarrebbe una chimera pensare di camminare su una via di sviluppo riducendo le già magre risorse economiche a disposizione. L'Europa è di fronte all'ennesimo bivio, ed è l'ora che cominci a pensare a cosa vuol diventare da grande.