di Anna Coluccino

La vergogna dell'ennesimo eccidio (ormai prossimo al genocidio) pesa sull'occidente tutto. Il governo d'Israele mostra totale disprezzo per la vita umana e i leader occidentali l'appoggiano incondizionatamente. C'è qualcuno che intende fermare tutto questo?

Gaza brutalizzata e dilaniata, ma la solidarietà dei leader occidentali va ad Israele.

Gaza va rasa al suolo, è una soluzione necessaria. [...] Lasciare Gaza senza elettricità, senza benzina né veicoli in movimento, senza niente. Le immagini da Gaza sarebbero sgradevoli, ma la vittoria sarebbe rapida.

Quando Ahmadinejad fece - più o meno - la stessa dichiarazione nei confronti di Israele, le reazioni furono giustamente sdegnate e le conseguenze immediate. Quelle parole - e l'evidente minaccia che sottendevano - furono sufficienti a dare il via a tutta una serie di sanzioni internazionali che - oggi - pesano moltissimo sull'economia iraniana. E anche se un vero e proprio conflitto tra Israele e Iran è, al momento, scongiurato dall'assalto a Gaza, è molto probabile che alla questione si metterà fine con un attacco che potrà contare sull'appoggio dell'intero occidente, USA in testa. Eppure, nonostante tutta la solerzia che gli stati occidentali mostrano quando si accenna alla cancellazione di determinati stati o etnie, le dichiarazioni di cui sopra non hanno sortito alcun effetto. Forse perché la Palestina non è uno stato membro delle Nazioni Unite; forse perché la Palestina - per il diritto internazionale - non esiste; forse perché la Palestina non è che un enorme ghetto confinato all'interno dello stato di Israele, e se al suo interno muoiono quotidianamente degli esseri umani è come se non accadesse davvero, è come se non fossero proprio umani, non come tutti gli altri. Una delegazione dell'African National Congress, recentemente, ha giudicato l'apartheid israeliano decisamente peggiore di quello sudafricano. Ma gli orrori palestinesi continuano a non esistere per molti stati e - per qualcuno in vena di negazionismo - i bambini trucidati da bombe al fosforo non sono che "propaganda di Hamas".

La Palestina non esiste. Non esistono palestinesi che non siano terroristi e tutti meritano di morire perché questo è l'unico modo di garantire ad Israele la sicurezza. Non sono le dichiarazioni di un'isolata frangia di estremisti, ma parole che si possono leggere ogni giorno sui quotidiani e i blog filo-israeliani; parole spesso pronunciate anche da alte cariche istituzionali, da generali, da influenti figure religiose e politiche. Ma nessuno, in Israele, viene accusato di terrorismo.

La dichiarazione rilasciata da Gilad Sharon - figlio di Ariel Sharon - è stata messa nero su bianco senza nessuna remora o ripensamento ed è avallata dal silenzio di tutti gli stati occidentali. Fino ad ora, nessuno ha espresso neppure un timido commento di sdegno in proposito. Gilad annuncia un genocidio e le uniche reazioni sono "Israele ha diritto a difendersi" e - tutt'al più - ci sono timide preoccupazioni riguardo l'acuirsi del conflitto. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non ha ancora rilasciato una dichiarazione formale e le organizzazioni internazionali create per difendere i Davide della storia dai vari Golia si trincerano dietro un vergognoso, colpevole silenzio omicida. La Nato, da par suo, ha affermato di non essere coinvolta nel processo di pace in Medio Oriente e di non cercare nessun ruolo in questo. Stavolta, non è affar suo. Stavolta, neanche gli USA sono interessati; stavolta non hanno un po' d'avanzo di democrazia da esportare.

Israele e Palestina devono risolversela da sole, senza fare appello all'ONU per il riconoscimento dello stato palestinese e senza chiedere ad altri paesi di intervenire. Questa la linea di Israele che, naturalmente, ha tutto l'interesse a che nessun organismo sovranazionale giudichi il suo operato giacché - in caso contrario - le sarebbe impossibile sfuggire la condanna ufficiale (cui seguirebbero sanzioni e obblighi da rispettare). Cosa succederà nelle prossime ore? Israele attaccherà davvero anche via terra? Al momento, non si può escludere nessuno scenario. Gli unici paesi che sembrano attivamente coinvolti nella ricerca della soluzione non appartengono a quello che - comunemente - si dice essere il civile occidente. In questo modo si lascia - probabilmente a ragion veduta - che forze fortemente islamizzate, come l'Iran, assumano la leadership della trattativa, condannando così la Palestina a un processo di radicale islamizzazione, non voluto e non richiesto.

Turchia, Tunisia, Qatar e  l'intera Lega Araba sono in prima linea per cercare un possibile accordo, Fatah (il partito di cui Abu Mazen è leader fin dalla morte di Arafat) e Hamas hanno ricominciato a parlarsi - dopo anni di acceso contrasto - per provare a trovare una soluzione che garantisca sicurezza a tutti i palestinesi e la fine del conflitto. Anche il premier italiano Mario Monti, oggi, si è unito al dibattito e ha chiesto la tregua. La Cina domanda "moderazione", soprattutto ad Israele, mentre l'Iran non perde occasione per fomentare la guerriglia affermando di voler inviare "nuove armi in Palestina".

Al debole coro di indignazione che proviene da governi e istituzioni si unisce anche Michel Sabbah, Patriarca emerito di Gerusalemme dei Latini, il quale afferma senza possibilità di fraintendimento che: "Gaza vive da molti anni sotto il peso di un embargo assurdo, che rende inumana l'esistenza quotidiana di un milione e mezzo di persone, fomentando sentimenti di ostilità permanente nei confronti di Israele. La comunità internazionale rimane indifferente, e si risveglia dal torpore solo davanti a escalation come quella in atto in questi giorni". E proprio per promuovere il dialogo e la definizione di una via di pace, il patriarca torna a dire quello che molti provano a ribadire da tempo, pur senza successo; ovvero che gli stati del mondo, e l'Europa in particolare,  devono sostenere il riconoscimento dello Stato Palestinese come Osservatore permanente all'interno dell'ONU. "Non riesco a capire in che modo tale richiesta possa essere presentata come un'iniziativa contro la pace" - afferma Sabbah - "Anche le Chiese devono assumersi le proprie responsabilità, affinché la Terra Santa non diventi una terra di guerra".

Alla voce di Sabbah si aggiungono le migliaia di voci dei cittadini del mondo che, in queste ore, stanno provando a fare pressione su istituzioni incapaci di uscire da logiche utilitaristiche per abbracciare logiche umanitarie che salvaguardino tutto e tutti, senza distinzioni di razza, senza calcoli politico-economici, senza l'applicazione dei due pesi e le due misure. Giustizia per tutti. Due popoli due stati. Perché mai - infatti - Israele dovrebbe avere più diritti della Palestina su quella lingua di terra che ci si ostina a insanguinare? Ma la posizione di Israele - nonostante qualche timida apertura in vista di una possibile tregua - resta inamovibile. Il governo ritiene l'operazione Piombo Fuso un fallimento, proprio perché non portò a compimento la distruzione di Gaza. L'operazione Colonna di difesa, si sussurra, non ripeterà lo stesso errore. E i leader occidentali - stavolta - si piegano senza replicare alle ragioni di Israele.

Napolitano chiama Shimon Peres per esprimere sostegno a Israele e al suo diritto a difendersi, Merkel fa lo stesso - senza se e senza ma - Obama e Hollande mostrano assoluta comprensione per le ragioni di Israele ma il primo chiede lo stop dei bombardamenti e il secondo si dice preoccupato per "l'escalation di violenza" . Stando all'occidente - quindi - Israele ha tutto il diritto di radere al suolo Gaza, ha tutto il diritto di compiere l'ennesimo eccidio nei confronti dei palestinesi mentre - invece - i razzi lanciati da Hamas non sono da considerarsi a loro volta legittima difesa ma "intollerabile attacco".  Israele non può viver sotto la continua minaccia dei razzi Qassam - che in dodici anni hanno fatto quindici morti - ma Gaza deve vivere sotto la continua minaccia delle bombe, delle detenzioni illegali, della sottrazione di territori e risorse, dell'obbligo all'apartheid, del divieto di accedere ad acque pescose e terre coltivabili, del divieto a manifestare e a riunirsi in piazza in più di tre persone. I palestinesi devono accettare di vivere nella prigione a cielo aperto più grande del mondo e devono farlo in silenzio e senza reagire, perché nella Striscia sono tutti colpevoli di aver eletto Hamas, quindi tutti - come sottolinea il figlio di Sharon - meritano la morte. Non è così. Hamas non rappresenta tutti i palestinesi e non è l'autorità a capo dell'intero stato. Affermare che il binomio Hamas-Palestina sia inscindibile non è che un pretesto per poter attaccare, non è che una manipolazione della realtà che ha lo scopo di giustificare la ferocia del governo di Israele che - a differenza di Hamas - ha i mezzi per fare quel che minaccia di fare: radere al suolo Gaza, assassinare i suoi abitanti.

Se Hamas lancia i suoi razzi, pagano anche i bambini; se si tentano le vie diplomatiche - come fa l'Autorità Nazionale Palestinese guidata Abu Mazen - Israele è pronta a ricordare loro che "non sono pronti per la pace e non sono pronti per l'ONU". Questo attacco, infatti, ha solo l'obiettivo di potenziare il consenso politico di Netanyahu e far capire all'ONU e ai palestinesi che non devono azzardarsi a chiedere (o peggio ancora approvare) il riconoscimento della Palestina quale Stato Osservatore. Se questo dovesse avvenire, Israele sarebbe costretta a fronteggiare la giustizia internazionale per le ripetute violazioni dei trattati internazionali e per crimini contro l'umanità. Accuse di fronte alle quali, evidentemente, la nazione mediorientale non è pronta a difendersi. Quali possibilità restano alla Palestina? Deve accettare una resa incondizionata? Deve rinunciare al ritorno dei suoi profughi? Deve rinunciare alle sue terre e ai territori più ricchi di risorse naturali? Deve rinunciare ad essere riconosciuta come stato delle Nazioni Unite? Deve accettare il regime di Apartheid e la totale assenza di diritti a tutela della sua etnia?  Questo il contenuto, in sintesi, degli accordi che Israele afferma di essere disposta a fare.  Ciononostante i leader dei paesi occidentali affermano che è giusto che Israele si difenda da chi afferma di volerla radere al suolo. E non importa se Israele predica un contro-genocidio e - anzi - lo realizza scientemente e quotidianamente: la parola "sanzioni" non può essere associata alla parola "Israele", pena l'infamante accusa di antisemitismo.

Hamas è un'organizzazione terroristica perché afferma - all'interno del proprio statuto - che Israele debba scomparire. Il governo di Israele e alcuni eminenti esponenti della politica israeliana affermano la stessa cosa. Qualcuno la scrive anche e - a differenza di Hamas che, comunque, non rappresenta affatto tutti i palestinesi -  l'attacco perpetrato dal governo di Israele ha attualmente l'84% di consensi. Gilad Sharon, infatti, è il degno figlio di suo padre Ariel, in coma dal 2006. Ariel Sharon è un conclamato genocida; un criminale di guerra scampato al tribunale dell'Aja (dove sarebbe stato giudicato per la strage di Shabra e Chatila) solo grazie alla provvidenziale morte - in un misterioso e irrisolto attentato terroristico - del suo principale accusatore: l'uomo che lo aveva aiutato a perpetrare il succitato genocidio palestinese in Libano ma che, pentitosi, aveva giurato di denunciare tutto quanto sapeva, Elie Hobeika.

È tempo che ognuna risponda dei propri crimini. È tempo che le organizzazioni internazionali dimostrino un briciolo di indipendenza. Basta giocare a fare i forti con i deboli e i deboli con i forti. C'è qualcuno che conserva ancora la dignità di essere umano e che sia capace di dire ad Israele che "basta così" senza se e senza ma? C'è qualcuno che abbia il coraggio di dire che la Palestina deve diventare Stato Osservatore e che si impegna a coordinare un processo di pace che sia realmente equo? Che faccia pagare ad ognuno le proprie responsabilità e distribuisca equamente quanto esiste sul suolo palestinese? Se questo qualcuno ancora stenta a farsi avanti, allora significa che la presenza e i metodi di Hamas convengono a molti; significa che non è la pace quella che si vuole, ma la distruzione. Come al solito, gli unici a pagare saranno i deboli, i palestinesi, stretti nella morsa di due terrorismi: uno - quello del governo israeliano - che continua ad applicare una politica genocida, l'altro che - pur rivendicando i medesimi intenti apocalittici - applica de facto una politica suicida.

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