Dall'Aquila al vertice di giovedì, in cerca di nuovi paradigmi.
Sono settimane intense, queste, per il volontariato. A inizio ottobre si è svolta a L'Aquila la tre giorni della VI Conferenza nazionale del volontariato, mentre giovedì prossimo 22 novembre, dopodomani, è in programma presso la sede del Cnel a Roma un importante incontro, organizzato da Anci (Associazione nazionale Comuni italiani), Cnv (Centro nazionale per il Volontariato) e Forum del Terzo settore, dal significativo titolo "Dopo la crisi, il volontariato che verrà". Un incontro in cui enti locali e realtà e reti del settore non profit italiano si sono dati appuntamento per discutere di quale può o potrebbe essere il contributo del volontariato alla costruzione di un nuovo modello di welfare locale, nel contesto della ricerca, imposta dalla crisi, di nuovi paradigmi socio-economici.
Parlare di volontariato significa parlare della dimensione del dono, della gratuità. Cioè esattamente di quanto è stato progressivamente messo ai margini da un'ideologia, da un modo di intendere il senso dell'umano agire, che ha volutamente considerato solo ciò che è misurabile con variabili economiche, ciò che ha un costo e un prezzo, mettendo da parte tutto il resto. Il lavoro dei volontari, invece, che oggi in Italia sono stimati in circa 5 milioni di persone, può anche essere valutato in senso economico ed è anzi importante che lo si faccia, ma non è certo quello l'aspetto prioritario che lo qualifica e lo fa apprezzare da chi lo sperimenta.
Si è a volte parlato di un possibile, ma evidentemente provocatorio e paradossale sciopero dei volontari, per cercare di far emergere in tutta la sua evidenza quanto sia indispensabile il loro lavoro per tenere insieme il Paese, per far funzionare servizi essenziali, per cementare la coesione sociale. Soprattutto oggi, in periodo di crisi. Se davvero i volontari decidessero di incrociare le braccia, sarebbe allora immediatamente evidente ai più, anche a chi non la considera una questione economicamente rilevante, che gli ingranaggi del vivere civile si arresterebbero, incapaci di marciare. E allora sì verrebbero avvertite le conseguenze anche a livello economico e la crisi non potrebbe che aggravarsi di molto, specie nelle sue componenti spirituali e morali.
Ma oggi è importante interrogarsi soprattutto su come questa crisi sta comportando una ridefinizione del ruolo del lavoro volontario all'interno di sistemi di welfare tradizionale sempre più in affanno, se non ormai decaduti. E su come si debba pensare al volontariato sempre meno come a un'esperienza individuale, che in ogni caso resta in tutta la sua rilevanza, e sempre più come a un fattore di sistema, che deve essere valorizzato in un'ottica di sistema, specie a livello locale, e da cui si deve prendere spunto per ideare quel nuovo modello di welfare cosiddetto di comunità, o di prossimità (o a km0, come sottotitolava l'evento de L'Aquila), che ancora non ha preso forma ma di cui vi è urgente, drammatico bisogno.
Nelle conclusioni della Conferenza nazionale svoltasi a L'Aquila, che entreranno verosimilmente nelle discussioni che avranno luogo nella giornata del 22 a Roma, è stata sottolineata l'importanza dell'impegno dei volontari nella cura del bene comune e nella difesa dei più deboli. Il volontariato va riconosciuto come un attore in grado di moltiplicare risorse relazionali ed economiche, un attore capace e ricco di esperienza che è opportuno consultare non solo nel momento dell'emergenza o comunque dell'esecuzione di strategie e politiche già decise, ma anche e soprattutto nella definizione di quelle. Accendere i fari sul volontariato, insomma, significa ripensare il modello di società e di sviluppo che si desidera costruire e riconoscere che senza la coesione sociale che il volontariato contribuisce così tanto a puntellare, non vi è sviluppo possibile degno di questo nome.
L'impegno, le richieste, la responsabilità, il diritto e il dovere di contare del volontariato, sono stati espressi, al termine della Conferenza di L'Aquila, in una splendida "Lettera al Paese" rivolta a tutte le sue componenti, nessuna esclusa: sociali, istituzionali, politiche, produttive, economiche.
Insieme a una lunga serie di impegni che il mondo di volontariato continua a dichiarare di volersi prendere per proseguire la sua opera a favore dei più deboli, dei beni comuni, delle situazioni di maggiore vulnerabilità (la difesa dei diritti, la denuncia delle ingiustizie e delle inefficienze, il corretto utilizzo delle risorse umane e di quelle economiche, la rigenerazione dei tessuti relazionali, la proposta di nuovi stili di vita, la costruzione di filiere di solidarietà e di inclusione), molto significative sono le indicazioni, contenute nella Lettera, che questo mondo offre sui temi prioritari sui quali occorre agire.
Si parla ad esempio di: assistenza su tutto il territorio nazionale; approvazione di una legge contro la corruzione che preveda il riutilizzo nel sociale delle risorse liberate e dei beni confiscati; stabilizzazione del 5 per mille; la diminuzione delle spese militari e l'aumento delle risorse per il welfare; l'istituzione di un Registro delle Reti nazionali di volontariato; certezza dei finanziamenti e dei tempi di erogazione dalla Pubblica Amministrazione.
Si chiede inoltre che il mondo del lavoro promuova e agevoli il volontariato (ad esempio nelle forme del volontariato d'impresa, che anche da noi hanno iniziato a diffondersi, sulla scia delle esperienze delle multinazionali anglosassoni giunte in Italia, e sempre in questi giorni sono al centro di importanti iniziative), che il volontariato entri nel mondo della scuola, della formazione rivolta agli adulti, che i media offrano una rappresentazione del volontariato più articolata e rispondente alla realtà.
Se si vuole utilizzare una sola espressione, il volontariato chiede che al centro delle scelte economiche, politiche, culturali venga rimessa la persona. E che la persona, non lo spread, non il pareggio di bilancio, non il tasso di crescita del Pil, sia la cifra di ogni misura politica. Riuscire a dare una risposta adeguata a questa richiesta significa delineare un altro modo di intendere non solo il welfare, ma in generale lo sviluppo. Giovedì a Roma si parlerà anche di questo.
Andrea Di Turi