Quando scioperano anche le agenzie di rating.

Luca Aterini

«Noi abbiamo assistito, prima, ad una crisi indotta dalle disuguaglianze e, da ultimo, alle diseguaglianze indotte dalla crisi»: non sono le parole di un sovversivo, bensì quelle di Andrew Haldane, pronunciate non molto tempo fa come direttore esecutivo della Bank of England. Questa osservazione è di una semplicità disarmante, tanto che è rarissimo che venga pronunciata. Procura ad alcuni una grande sorpresa che a farlo sia un alto dirigente di una delle più importanti banche del mondo, ma - a quasi sei anni dall'inizio della più grande crisi economica del dopoguerra - chi ancora non se ne fosse accorto osserva il mondo con occhi bendati, quando non con malafede.

Sicuramente se ne sono accorte le centinaia di migliaia di persone, (ex?)lavoratori e soprattutto studenti, che hanno affollato ieri le piazze e le strade di mezza Europa per protestare contro un'austerità totale e ideologica che, portata avanti con vigore nel momento più sbagliato, non fa che soffocare il loro presente e il loro futuro. In mezzo a questo marasma, c'è qualcun altro che - da tutt'altri presupposti - sta incrociando le braccia. Incredibile ma vero, si tratta di Fitch, una sorelle (insieme a Moody's e Standard&Poor's) che compongono il trio delle maggiori agenzie di rating del globo, quelle che valutano condizioni economiche e solvibilità di società e Stati, indifferentemente.

«Serrata immediata su ogni comunicazione non scritta, con minaccia di chiudere la sede di Milano e di abbandonare l'Italia: Fitch - riporta il Sole24Ore - sceglie la linea dura dopo la richiesta di rinvio a giudizio di due suoi dirigenti da parte della procura di Trani per manipolazione di mercato pluriaggravata». Dopo due anni di indagini, secondo i pm coordinati dal sostituto procuratore Michele Ruggiero, «la diffusione tendenziosa e distorta dei report sul debito sovrano dell'Italia avrebbe comportato una destabilizzazione dell'immagine, del prestigio e dell'affidamento creditizio della nostra nazione sui mercati finanziari nazionali ed internazionali, una sensibile alterazione del valore dei titoli di Stato e un indebolimento dell'euro». Per questo vengono rinviati a giudizio 7 manager (2 di Fitch). Ora, è proprio Fitch che, stizzita, minaccia di andarsene dall'Italia. Forse immaginando che qualcuno già si stia strappando i capelli per la notizia, magari.

Certo è che, in tutto questo, qualcosa di buono comincia ad emergere. Lo stesso ministro delle Finanze, Vittorio Grilli, ieri in un'audizione della commissione Finanze del Senato (qui il resoconto sommario) ha sottolineato che - come si legge ancora sul Sole24Ore - «bisogna rendere il sistema di sorveglianza pubblica "immune o indipendente dal sistema delle agenzie di rating"», perché «se un privato vuole comprarsi dei pareri se li compra, non c'è nulla di male», ma negli ultimi anni anche nel nostro sistema di supervisione pubblica vi abbiamo inserito «senza esserne consapevoli la valutazione delle agenzie di rating».

Sebbene il ministro Grilli sottolinei come questa non sia operazione realizzabile da un giorno all'altro perché «non abbiamo un sistema alternativo collaudato», implicitamente, questa piccola emancipazione è la metafora di qualcosa di molto più imponente: la consapevolezza della possibilità di intervenire anche all'interno dei più oliati meccanismi dei mercati internazionali, i cui massimi elementi vengono invece solitamente elevati a livello di oracoli.

Come insegna l'economia ecologica, sono i sistemi economici che dipendono dalla società, e questa dall'ambiente. Non l'inverso. Una prospettiva fondamentale, che troppo spesso perdiamo di vista. Negli ultimi anni, questo ci ha condotto alle soglie di un baratro su tutti e tre i fronti. Il tradizionale modello di sviluppo non riesce più a creare e distribuire ricchezza, se non in modo esponenzialmente meno efficiente. La società è scossa da tumulti che si riversano in piazza, senza la valvola di sfogo di un'azione politica che li faccia sentire rappresentati. L'ambiente, e lo vediamo tristemente con l'emergenza che sta affliggendo la Maremma e non solo, si sfalda letteralmente sotto i nostri piedi, colpevoli di averlo calpestato nel tempo con ben pochi riguardi. L'esigenza di un modello di sviluppo più sostenibile è divenuta ormai la massima necessità a livello mondiale. Un «sistema alternativo» è alla nostra portata, e se finora non è stato «collaudato» c'è solo un motivo: non abbiamo ancora racimolato il coraggio necessario per cambiare binario e farlo partire.

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