Con il dovuto clamore, il 6 novembre scorso si sono svolte le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America. Come tutto il mondo ha appreso, ne é uscito vincitore Barack Obama, che dà così continuità al suo primo mandato, dopo un serrato testa a testa con lo sfidante repubblicano Mitt Romney.
Lo stesso giorno, i cittadini americani sono accorsi alle urne anche per l'elezione dei membri del Senato e del Congresso (sugli scranni dei quali prenderà posto un gruppo piacevolmente variegato di membri: per la prima volta al Senato un buddista e una candidata lesbica dichiarata; per la prima volta al Congresso un induista, oltre ad un numero consistente di donne e di candidati latini). Non solo: come riportato dalla grande maggioranza degli organi di informazione, si é votato anche per alcune questioni di carattere sociali, come la legalizzazione della marijuana ed il sì ai matrimoni gay.
Gli occhi del pianeta si sono concentrati sui 50 stati federali che conformano quella che viene definita la più grande democrazia del mondo. Talmente concentrati che non hanno avuto modo di gettare un'occhiata a qualche centinaio di chilometri a sud della Florida, dove si trova Portorico.
Un paese di cui si parla poco o niente, Portorico. già definirlo non é facile: non é uno stato indipendente, non é una colonia; é uno stato libero associato, definizione che giuridicamente nemmeno esiste. Per essere pratici: si tratta di un territorio che possiede una Costituzione autonoma per l'amministrazione di alcuni affari interni ma che allo stesso tempo é soggetto ai poteri del Congresso statunitense per le questioni più importanti. La sua rete commerciale, tanto in entrata come in uscita, é controllata (e tassata) per intero dagli Stati Uniti. Il governatore dell'arcipelago viene eletto direttamente dai cittadini di Portorico ma questi non ha competenza in materia di politica estera, difesa e commercio.
I suoi abitanti (circa 3 milioni e 700 mila) sono cittadini americani, con tanto di passaporto. Ma senza diritto di voto in USA, senza diritto di rappresentanza al Congresso e con limitato o nullo accesso ad alcuni programmi federali come il Supplemental Securuty Income e l'assistenza socio-sanitaria Medicaid e Medicare, pur pagando per intero le tasse per questi servizi. In poche parole: americani di serie b, assai utili a Washington perché costano poco, non influiscono sulle decisioni politiche ma sono abili ed arruolabili nell'esercito, prime linee da spedire dall'altra parte del pianeta, nelle note operazioni di democracy export.
Lo scorso 6 Novembre, anche i cittadini statunitensi di Portorico sono accorsi alle urne. Non per scegliere tra Obama o Romney (non si può, come detto) ma per due importanti questioni riguardanti l'arcipelago caraibico: l'elezione del governatore e soprattutto, tramite referendum, la scelta se mantenere lo status quo di libero stato associato agli USA, annettersi agli Stati Uniti come cinquantunesimo stato federale o percorrere la via della completa indipendenza.
Ha vinto la scelta dell'annessione agli USA. Ma c'é un però, e non di poco conto. E cioè che il volere del popolo di Portorico non vincola Washington. Il referendum, infatti, é solo consuntivo e la decisione finale sulle sorti di Portorico spetta al Congresso americano. Il via libera all'inserimento di una stella in più sulla bandiera americana é tutt'altro che scontato, considerando che gli Stati Uniti dovrebbero includere nei programmi federali di assistenza sociale uno stato con elevati tassi di povertà, criminalità e disoccupazione.
D'altra parte, i portoricani contrari all'annessione agli USA hanno paura di un' "americanizzazione" della propria cultura; esiste sull'isola una forte identità nazionale, prettamente latina, alla quale molti non vogliono rinunciare.
In attesa di capire se il Congresso americano si doterá o meno di ago e filo per cucire sulla bandiera a stelle e strisce la cinquantunesima stella, una cosa é certa: gli Stati Uniti non si priveranno di un Paese strategico per i propri interessi economici e militari. Portorico rappresenta un ponte ideale per il controllo dei traffici commerciali americani nel Golfo del Messico. Rappresenta, inoltre, un'ottima base militare, con tanto di pista aerea, centro di addestramento e magazzino per le scorte di munizioni. Da qui, giova ricordarlo, sono partiti i marines per l'invasione della Baia dei Porci a Cuba e per le successive missioni nella Repubblica Dominicana, Panama e Grenada.
Andrea Dalla Palma