Negli Usa riprende vigore la politica industriale. Obama punterà su istruzione e politiche attive per il lavoro.
Nicola Bellini
Altri quattro anni di amministrazione Obama significheranno anche quattro anni di rinnovato impegno nella politica industriale, nei quali dovrà chiarirsi il senso di un termine che ha animato il dibattito nelle ultime settimane: "new economic patriotism". Era questo il sottotitolo di un manifesto elettorale sui temi dell'economia che non è privo di ambiguità, non solo agli occhi di chi da posizioni conservatrici ed ultra-liberiste vi vede una espressione del "socialismo" obamiano.
In effetti sono labili i confini che possono separare "patriottismo" da "nazionalismo", ossia da una riedizione delle politiche fondate su una automatica identificazione tra interessi dei "campioni nazionali" ed interessi collettivi. La stessa vicenda del salvataggio dell'industria automobilistica e dell'ampio credito (finanziario e politico) concesso alla gestione italiana di Chrysler ci fanno credere che invece il confine esista e che il nuovo patriottismo economico di Obama guardi meno al passaporto degli imprenditori e più all'impatto che le loro azioni hanno sul benessere e sulla prosperità degli americani, con particolare attenzione alla classe media.
In questa prospettiva va letto anche il forte impegno a favore di rinnovato ruolo della manifattura.
Alla possibile rilocalizzazione delle attività industriali sul territorio statunitense sembrano credere in moltissimi, a destra come a sinistra. La differenza sta nella scelta dei mezzi con i quali concretizzare questa possibilità, assicurando la competitività dell'industria statunitense. La ricetta di Obama, che vedremo in pratica nei prossimi anni, è fondata soprattutto su politiche attive del lavoro e su un impegno particolare in materia di formazione.
Non basta. Nel bilancio 2013 si prevede un miliardo di dollari di stanziamento a favore di un programma di partnership pubblico-privata a sostegno dello sviluppo tecnologico. Il
National Network for Manufacturing Innovation (NNMI) si ispira al modello tedesco degli Istituti Fraunhofer ed avrà lo scopo di rivitalizzare la manifattura made in USA, attivando "ecosistemi" di imprese e centri di ricerca attorno a progetti di sviluppo di tecnologie che abbiano un ampio spettro di applicazioni industriali. L'idea è quella di un intervento delimitato nel tempo, che però, per la sua stessa entità, crei una forte discontinuità nelle potenzialità di sviluppo industriale del Paese.
La proposta dell'amministrazione si basa su una serie di studi e di rapporti che negli ultimi mesi hanno rafforzato l'idea della necessità di un impegno politico in tale ambito. Tra questi si veda in particolare quello dell' Office of Science and Technology Policy della Casa Bianca che delinea un piano per le manifatture "avanzate".
Come è nella tradizione della politica industriale statunitense, non mancano aspetti legati alla sicurezza nazionale. Il Pentagono sarà parte attiva nel nuovo network, a partire dalla convinzione che l'indebolimento dell'industria americana crei fragilità preoccupanti su tecnologie chiave della difesa. Nell'agosto 2012, il primo istituto "pilota" è stato costituito nell'Ohio, proprio sotto la responsabilità del National Center for Defense Manufacturing and Machining (NCDMM). Si tratta del National Additive Manufacturing Innovation Institute, con il compito di accelerare l'applicazione delle cosiddette "tecnologie di manifattura additiva", ossia quelle tecnologie di stampaggio tridimensionale a controllo digitale, che rovescia la logica "sottrattiva" (foratura, taglio etc.) delle tradizionali tecnologie manifatturiere.
Questo succede in America...