Polska The Times Varsavia
La crisi economica non è il problema più grave che l'Ue deve affrontare. I veri guai del vecchio continente sono a livello politico, civile e soprattutto spirituale.
Marcin Król
Sappiamo che l'Europa è stata quasi sempre in crisi. La differenza fra una consapevolezza permanente della crisi così com'era vissuta nel passato e la situazione attuale è che prima l'Europa conservava una capacità di riflessione e autocritica che le permetteva di superare le crisi successive. Oggi questa facoltà non è più alla sua portata. L'Europa di un tempo non esiste più.
Ci è difficile immaginare il futuro del mondo senza Europa, probabilmente non un'Europa leader, ma quel continente portatore di norme di base e di principi per noi e per le generazioni future. L'Europa è la nostra forma di esistenza, l'unica che abbiamo. E quando l'Europa fugge, scompare e si indebolisce, la guardiamo senza sapere che fare.
Di solito vengono dati tre tipi di risposte a questa situazione. Il primo fa appello a un ritorno a soluzioni già sperimentate, sotto le diverse forme dello stato assistenziale o socialdemocratico. Il secondo tipo di risposta consiste nel dire che la crisi non è solo ed esclusivamente di natura economica, ma richiede anche un cambiamento politico. Fra le visioni politiche più significative vi è quella di un'Europa federale, basata su forti legami interni.
Tuttavia questa visione è vecchia quanto l'Europa e si è sempre rivelata sbagliata. Il suo principale difetto è che non c'è una società europea che desidera un'Europa federale, per la semplice ragione che questa nuova Europa - anche se si riuscisse a crearla - sarebbe completamente diversa da quella che consideriamo la nostra forma di esistenza. Infine il terzo tipo di risposta è basato sulla convinzione che la ripresa economica migliorerà automaticamente tutti i settori della vita europea.
Tutte queste risposte hanno un punto in comune: cercano la soluzione nel presente. Vogliamo risolvere i problemi qui e ora, utilizzando possibilmente mezzi già noti. Facciamo appello alle solite misure, non per mancanza di immaginazione o di coraggio, ma perché non sappiamo come fare altrimenti. Quello che caratterizza oggi l'Europa è soprattutto la paura. Non il timore di un possibile crollo della moneta, ma soprattutto una paura intellettuale e spirituale.
L'attuale stato di impotenza dell'Europa è stato provocato dalle quattro grandi divisioni della spiritualità dei tempi moderni. La prima contrapposizione è quella fra la religione e il mistero come chiave di comprensione del mondo e l'affermazione che la religione è una superstizione.
La seconda è il nazionalismo e lo stato nazione contro i valori e le pratiche dell'universalismo. Il confronto fra l'utilitarismo o l'edonismo e la propensione degli individui a limitarsi a degli obiettivi misurati e circoscritti è la terza contrapposizione. Seguita da quella che divide la democrazia, cioè la comunità, dal liberismo come motore della libertà individuale.
Sulla crisi attuale sapevamo già quasi tutto. Molti brillanti economisti sapevano perfettamente che era impossibile sopportare debiti pubblici così elevati, che la Grecia aveva da tempo oltrepassato i limiti, e che lasciare la speculazione finanziaria al di fuori di ogni controllo dei governi avrebbe portato alla catastrofe.
Non si ignorava il declino demografico e i disastri imminenti nei settori delle pensioni, della sanità e dell'istruzione [?]. Tutto questo era noto da tempo, ma i politici non volevano vederlo, o non erano in grado di cogliere intellettualmente questi problemi.
Qualunque reazione seria richiede decisioni impopolari, temute dai responsabili politici delle democrazie attuali. La riforma delle pensioni, per esempio, introdotta di recente in quasi tutti i paesi europei, avrebbe dovuto essere adottata dieci anni prima per sperare di ottenere dei risultati. Gli specialisti dell'istruzione dell'Ue vogliono sostituire le università con delle scuole professionali, ma questo dimostra la mancata comprensione del fatto che le scienze umane si basano sulla filosofia e le materie scientifiche sulla matematica. Due discipline che oggi sono tra le meno sovvenzionate.
Spiegare l'interesse comune
Tutto questo lo sapevamo. Il nostro problema non deriva quindi dalla nostra incapacità ad anticipare, ma dalla nostra reticenza ad agire. Inoltre i metodi per uscire dalla crisi raccomandati da numerosi economisti si sono tutti dimostrati inefficaci economicamente e del tutto inadatti a eliminare le ragioni spirituali e intellettuali di questa crisi.
La democrazia in quanto idea di comunità deve naturalmente riferirsi a tutti i cittadini. Una società democratica deve escludere qualsiasi carattere elitario e allo stesso tempo deve tenere conto dell'irrazionalità, tanto individuale che collettiva. Per unire questi due elementi bisogna spiegare alla comunità democratica che cosa è esattamente il suo interesse comune o produrre uno stato di emozione collettiva quando questo interesse è chiaramente visibile (quello che in passato si chiamava patriottismo). Più del bene comune è l'interesse comune a tenere insieme i cittadini, nonostante le divergenze di convinzione su numerose questioni.
Ma per determinare qual è l'interesse comune abbiamo bisogno di comprendere quali sono i nostri interessi particolari o di gruppo. Abbiamo anche bisogno di individuare delle priorità e di dare un carattere gerarchico ai nostri interessi. Solo un consenso su questa gerarchia permetterà di fare progressi, ben oltre la semplice correzione della situazione attuale. Ma per ora sembra impossibile.
Traduzione di Andrea De Ritis