Luca Manes, Re:Common per greenreport.it
Si chiamava Mohamed Bouazizi. Era il venditore ambulante tunisino che nel dicembre del 2010 si diede fuoco dopo che la polizia gli aveva sequestrato la merce. Il suo gesto estremo è considerato l'inizio della rivoluzione dei gelsomini e quindi della fine al regime di Ben Ali nel paese nordafricano.
Ma le radici delle proteste di massa che hanno costretto l'ex dittatore a riparare in Arabia Saudita affondano in un recente passato, ricco di rivolte sociali che purtroppo non hanno mai attirato l'attenzione della comunità internazionale.
In principio si sono mobilitate le lavoratrici del settore tessile. Già nel 2005 avevano fatto sentire la loro voce contro le inique condizioni di lavoro cui erano sottoposte. Ma un passaggio di fondamentale importanza è rappresentato dalla rivolta dei minatori di fosfato nella regione di Gafsa. Una protesta stroncata con la violenza dal regime nel luglio del 2008.
Da quel momento nelle aree più povere del Paese si sono moltiplicate le vertenze sociali. Lotte dure, condotte senza l'aiuto delle poche realtà tollerate da Ben Alì, come i sindacati. Lotte ignorate dall'Unione europea, che però da un anno e mezzo non perde occasione di lodare le ragioni delle piazze tunisine ed egiziane. Un atteggiamento ipocrita, teso a cancellare la sua connivenza con i governi precedenti, sostenuti a suon di miliardi di euro elargiti in cambio del controllo delle frontiere, dell'apertura dei mercati e della sicurezza energetica.
Solo alla Tunisia la Banca Europea per gli investimenti, la banca di sviluppo dell'Ue, in dieci anni ha dispensato fondi per quasi due miliardi e mezzo di euro, spesso per progetti estrattivi con pesanti ricadute ambientali.
Dopo la caduta del regime, la neonata Commissione Nazionale sulla corruzione ha passato al vaglio tutti i progetti sostenuti dalla Banca. In vari casi gli atti sono stati passati alla magistratura per l'apertura di cause penali. D'altronde in Tunisia non c'è flusso di denaro che non abbia contribuito ad arricchire la numerosa famiglia di Ben Ali.
Tra i progetti della Banca Europea per investimenti, anche grazie al sostegno del nostro paese, c'è proprio quello nella regione di Gafsa per l'impianto di trasformazione del fosfato in fertilizzante. Per la sua realizzazione l'istituzione ha staccato un assegno di 200 milioni di euro pochi mesi, dopo la brutale repressione che ha messo file alla protesta dei minatori.
Che la Banca continui a infischiarsene delle implicazioni sociali nonché degli impatti ambientali delle sue operazioni lo dimostra la sua condotta attuale. Di recente si è impegnata a trasferire nel paese 1 miliardo e 800 milioni di euro, soprattutto a favore del settore privato. Tutto questo sebbene la Tunisia non abbia ancora una costituzione e sia retta da un governo transitorio con un mandato in scadenza.
A Tunisi nessuno sa esattamente cosa accadrà nei prossimi giorni. Alcuni paragonano la situazione di questi giorni all'ansia da millennium bug. Ma il baco del sistema per la Banca Europea per investimenti e per le altre istituzioni internazionali presenti sul campo potrebbero essere le decine di associazioni contro la corruzione e per la trasparenza finanziaria. Realtà che si sono formate dopo la rivoluzione e che non sono intenzionate a tornare nell'ombra.