di Andrea Baranes
Banca Etica ha lanciato nei giorni scorsi una petizione al governo per chiedere di salvare l'azionariato popolare. Nel merito, è messa in discussione l'esenzione dei piccolissimi risparmiatori dal pagamento di un'imposta di bollo sui titoli posseduti. In pratica, fino ad oggi chi acquistava unicamente pochissime azioni non come un investimento finanziario ma prima di tutto per potere intervenire nell'assemblea di un'impresa, non doveva pagare alcuna tassa. Parliamo di investimenti in azioni sotto i 1.000 euro. Secondo le disposizioni oggi in discussione, al contrario, anche per chi acquista unicamente 50 o 100 euro di azioni scatterebbe una pesante imposta di bollo.
Questo significa penalizzare in maniera spropositata il piccolo risparmiatore, fino potenzialmente a costringerlo a dismettere la propria partecipazione azionaria. La cosa può sembrare di poco conto se pensiamo alle "classiche" società per azioni, che funzionano secondo il principio "un euro, un voto". Nel modello di S.p.A. il potere di voto dipende dal capitale versato. In questo caso decidono i grandi capitali, e in primo luogo gli investitori istituzionali (fondi pensione e di investimento, assicurazioni e dintorni). Chi possiede 100 euro di azioni ha un potere limitatissimo, per non dire nullo, rispetto a chi ragiona in milioni o miliardi di euro di partecipazione nei capitali delle imprese nelle quali investe.
Anche in questo caso, limitare la possibilità di partecipazione dei piccoli azionisti è un problema serio, prima di tutto in termini di democrazia. Si penalizza la voce di chi ad esempio vuole acquistare unicamente poche azioni proprio per partecipare alla vita dell'impresa, intervenire in assemblea e magari portare una voce critica, come fa la Fondazione Culturale Responsabilità Etica con la propria iniziativa di azionariato critico.
La situazione, già penalizzante, diventa insostenibile per il modello cooperativo nel quale non vale il principio "un euro, un voto" ma quello "una testa, un voto". E' il caso di Banca Etica, che conta oggi su oltre 40.000 soci tra persone fisiche e persone giuridiche, ognuna con lo stesso diritto di voto in assemblea, indipendentemente dal capitale versato. E' su questo principio che si fonda la partecipazione di moltissimi soci che vogliono dire la loro sulle politiche e il funzionamento della banca.
La questione rimanda a un aspetto ancora più generale. Cosa vuol dire essere azionisti? Significa unicamente aspettarsi un dividendo a fine anno, o al contrario comporta anche il diritto / dovere di partecipare alla vita dell'impresa nel momento in cui se ne diventa proprietario, per quanto di una parte minuscola del capitale complessivo? Non è un dettaglio, ma un nodo centrale dell'attuale impianto economico e finanziario. Comprare un titolo finanziario significa investire nel lungo periodo in una determinata impresa perché vogliamo partecipare, tanto economicamente quanto politicamente, o unicamente speculare per ottenere il massimo dal proprio investimento senza guardare dove investiamo e perché?
In altre parole, in discussione c'è la stessa idea di modello finanziario, economico e di impresa che vogliamo nel prossimo futuro. Se una finanza fine a sé stessa e che ha come unico obiettivo fare soldi dai soldi, o se al contrario un sistema fondato sulla partecipazione e la democrazia economica, nel quale non votano i soldi, ma le persone. La crisi che viviamo da anni dovrebbe avere chiarito qual'è il percorso da intraprendere, su quale dei due modelli puntare.
Volere unicamente fare un minimo di cassa nel breve, senza una visione più ampia della situazione che stiamo vivendo è una scelta incredibilmente miope. E' possibile provare a tappare i buchi senza preoccuparsi di come questi buchi sono stati creati? Intervenire sugli effetti a valle senza risalire alle cause a monte? Questo addirittura se l'intervento a valle peggiora e inasprisce i motivi che ci hanno trascinato nell'attuale situazione? La finanza deve essere un mezzo al servizio dell'economia e delle persone, non il contrario, non un fine in sé stesso. Per questo chiediamo a tutte e tutti di fare sentire la loro voce e firmare la petizione al governo lanciata da Banca Etica.