Il Parlamento approva i nuovi tagli.
Tonia Mastrobuoni, inviata ad Atene
Lo spettro della manifestazione di febbraio, quando Atene era stata messa a ferro e fuoco dai manifestanti cacciati da Syntagma, si materializza subito. Già alle sei di pomeriggio, un'ora dopo l'inizio della manifestazione, dal lato nord della piazza scendono minacciosi due enormi camion con gli idranti. Qui in Grecia non si vedevano da anni. La piazza è piena in attesa del voto di mezzanotte, quello che dovrebbe dare il via libera a nuovi, pesanti tagli a pensioni e stipendi da 13,5 miliardi di euro.
Poco prima, davanti alle transenne che delimitano la facciata principale del Parlamento, è andata in scena la solita dinamica che incendia le piazze. Ragazzi incappucciati e attrezzatissimi - maschere antigas, caschi, bastoni, molotov e il marmo sradicato dai gradini degli alberghi intorno a Syntagma - cominciano a lanciare oggetti, persino i mandarini degli alberi affianco del Parlamento, e a intonare cori di insulti contro la polizia, "maiali, maiali". La reazione non si fa attendere. Al primo lacrimogeno si leva un boato arrabbiato tra la folla, poi comincia il fuggi fuggi generale. Gli idranti cominciano ad avanzare verso la piazza e non si limitano affatto a spegnere le molotov lanciate dai ragazzi: sparano il getto ad altezza d'uomo. I sibili dei lacrimogeni si moltiplicano. Tempo un'ora e Syntagma è immersa in una enorme nuvola bianca. È svuotata. L'aria è irrespirabile. Resiste solo chi ha le maschere antigas - ormai le vendono ovunque qui ad Atene - o i fazzoletti impregnati di Maalox. In più, comincia a piovere. Alle nove di sera la grande piazza quadrata davanti al Parlamento è sotto il diluvio. A mezzanotte non c'è più nessuno.
La maggior parte degli ottantamila venuti a protestare contro l'ennesima stangata è arrivata nel primo pomeriggio, ha srotolato gli striscioni e si è unita alle canzoni partigiane cretesi sparate da qualche altoparlante o ha intonato slogan contro il governo. Molti sono al di là della rabbia, sono disperati. Nico Drakotos, 33 anni, non sa come andare avanti. Regge assieme ad altri uno striscione che dice "basta con l'austerità" - ha moglie e un figlio ma non percepisce lo stipendio da settembre. "Mi sono rimasti 15 euro sul conto in banca, come faccio a dare da mangiare a mio figlio?". Accanto a lui, Caterina Terina, 34 anni e una laurea in ingegneria. Fa parte di quel 25% di greci disoccupati e sta pensando di emigrare in un paese arabo: "Lì c'è tanta richiesta di ingegneri". È "molto arrabbiata con il governo" ma una delle cose che la preoccupano di più è il successo crescente dei neonazisti di Alba dorata. Lei abita vicino a Agios Pandaleimonas, il quartiere dove il partito di Michaliolakos ha un grande seguito. "I miei vicini di casa - racconta - pensano che siano innocui, anzi, che facciano del bene al popolo. È questo il pericolo: che crescano i movimenti antidemocratici. Sta già succedendo."
Qualche metro più su, in Parlamento, si consuma il rito del "voro unico" su un provvedimento da 600 pagine che chiede nuovi sacrifici a un popolo letteralmente stremato da cinque anni di recessione. Il voto è sul filo del rasoio, il pacchetto passa a mezzanotte con 153 sì su 300 e sette deputati "disobbedienti" espulsi. La maggioranza del governo Samaras si è letteralmente liquefatta sotto la pressione della piazza e dell'impopolarità crescente. Oltre ai deputati che hanno votato contro del Pasok e di Nuova democrazia, i rappresentanti del partner di minoranza della coalizione, la Sinistra democratica di Fotis Kouvelis, si sono astenuti - e fino all'ultimo il leader del Pasok Evangelos Venizelos ha tentato di frenare l'emorragia del suo partito per evitare che la quota dei 'sì' scivolasse sotto la quota pericolosa dei 154. Ma è evidente che con questa maggioranza anche il governo Samaras, eletto appena a giugno, non avrà vita lunga.
Il pacchetto votato ieri notte contiene l'innalzamento dell'età pensionabile da 65 a 67 anni e una sforbiciata agli assegni previdenziali del 10% per quelli tra 1.500 e 2.000 euro, quelli sopra questa cifra del 15%. I cosiddetti "stipendi speciali" dei militari, dei magistrati e dei medici saranno decurtati tra il 2 e il 30%. Agli impiegati delle aziende controllate dallo Stato toccherà lo stesso destino - tagli tra il 30 e il 35%. Duemila statali saranno messi in mobilità e avranno la busta paga decurtata del 25% per un anno, in attesa di capire se saranno trasferiti o cacciati. Altri 6.250 subiranno lo stesso destino nel corso dell'anno prossimo. Il blocco del turn over in vigore dal 2010 sarà prolungato al 2016. Il pacchetto di misure prevede anche una deregolamentazione di 14 professioni e la liberalizzazione di alcuni settori.