Obama ha stravinto tra i gruppi che andranno a rafforzarsi (giovani, donne e immigrati, specie ispanici): dovrà dunque solo consolidare tale posizione di predominio per rafforzare il radicamento del proprio partito, accompagnando l'America in uno sviluppo progressista che i referendum di ieri hanno già evidenziato come in pieno svolgimento.

Carlo Passera

Barack Obama ha vinto perché l'America è cambiata; la sua vittoria farà in modo che questa cambi ancor di più nel futuro, in senso progressista. Comunque la pensiate, sono queste le prime considerazioni che è possibile fare a commento dell'esito del voto statunitense.

Il presidente è il secondo democratico - dopo Bill Clinton - a confermarsi alla guida della Casa Bianca dopo il 1945: un risultato, seppur atteso, che è dovuto in gran parte alla schiacciante vittoria ottenuta tra gruppi etnici e demografici che andranno inevitabilmente a crescere, nei prossimi quattro anni. Obama vince nettamente tra i più giovani (60% contro 37% di Mitt Romney tra coloro che hanno tra i 18 e i 29 anni. Ha perso invece tra gli anziani, 44% contro 56% dello sfidante repubblicano), domina il voto urbano (62% contro 36%), quello femminile, che è maggioritario (55% contro 44%) e stravince anche nel consenso etnico: ha la quasi totalità delle preferenze tra gli afroamericani ma soprattutto domina tra i latinos, che hanno registrato in questi anni un vero e proprio boom demografico (secondo i dati del Censimento 2010, gli ispanici, costituiscono il 16,3% della popolazione statunitense, mostrando un aumento del 43% rispetto alla rilevazione precedente, del 2000). Se il trend di crescita fosse confermato, com'è nelle attese, entro il 2050 gli ispanici arriverebbero a rappresentare oltre un terzo della popolazione statunitense: una comunità dunque saldamente democratica, risultata determinante quattro anni fa e ancor più ieri, specie in alcuni swing States (come la Florida) dove la sua crescita di questa componente è stata particolarmente marcata.

È evidente che partendo da questi punti di forza sempre più saldi nel tempo, il Partito Democratico americano può porre ora salde radici per dominare a lungo la politica statunitense. Accompagnando il Paese in uno sviluppo sociale (secondo principi liberal avversati dai repubblicani) dei quali si sono avute già le prime sorprendenti avvisaglie, con gli inattesi esiti di alcuni referendum (su legalizzazione delle droghe leggere, coppie gay e aborto, leggi qui) che disegnano una realtà via via sempre più orientata in senso progressista. Mai nella storia degli Usa si erano registrati risultati del genere, quando il popolo era stato chiamato a pronunciarsi su tali temi.

Obama ora ha quattro anni per consolidare questa tendenza, tutelandola sia a livello legislativo, come ha già in parte annunciato, che giurisprudenziale (potrà infatti con ogni probabilità nominare nuovi giudici liberali all'interno della Corte suprema). Potrà insomma consegnare al futuro candidato democratico alle prossime presidenziali Usa - con ogni probabilità Hillary Clinton, un nome molto forte - un Paese plasmato in modo da venir incontro alle aspettative di gruppi sociali dal crescente peso elettorale: un meccanismo quasi perfetto per consolidare consenso, anzi generarne di nuovo.

Sarà dura per i repubblicani inserirsi in questo trend che oggi appare inarrestabile, modificando la propria piattaforma per adeguarla alle tendenze della società; o agendo - con le difficoltà che ci può immaginare - per invertire tale tendenze storiche.

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