Umberto Mazzantini
Oggi gli statunitensi decidono il destino politico di quello che è ancora il più potente Paese del mondo. E conseguentemente quindi, anche quali saranno i rapporti con la vecchia Europa, la nuova Cina (che proprio in questi giorni cambierà, nella continuità del capitalismo-comunista di Stato, la sua intera dirigenza ai più alti livelli), e con i Paesi emergenti.
Ma soprattutto, la scelta tra l'uscente Barack Obama e lo sfidante repubblicano Mitt Romney deciderà se l'America tornerà indietro all'aggressiva politica energetico-imperiale dell'era dei due Bush (proseguita volonterosamente dal
liberal Bill Clnton), o proseguirà il faticoso ritiro di Obama dalle guerre catastrofiche neoconservatrici.
La vittoria di Romney sarebbe probabilmente l'inizio di un'escalation che porterà ad una guerra "nucleare" contro l'Iran che Israele sta progettando fin dal 2010, la conferma di Obama manterrebbe invece i cieli dell'Afghanistan, dell'Iraq, del Pakistan, dell'Iran e della Siria pieni di droni spia o killer, ma ridurrebbe l'ingombrante e costosissima presenza militare statunitense sul terreno.
Vista dalla sfiancata Europa Nobel per la Pace sembra poco, ma molto probabilmente evitare una disastrosa guerra in Iran è il massimo che può permettersi il Premio Nobel per la Pace Barack Obama.
Il bilancio di 4 anni della presidenza Obama che tante speranze aveva sollevato
non è certo esaltante, ma sbaglia chi in Italia ed in Europa sperava che il primo presidente nero degli Usa fosse quel che i repubblicani lo accusano di essere: un socialista che vuole distruggere il liberismo statunitense. Obama in questi 4 anni ha tenuto faticosamente la barra al centro perdendo consensi e speranze a sinistra, mentre il mormone miliardario Romney ha prima titillato i peggiori
istinti della peggiore destra Usa per poi virare al centro mantenendo intatto il codazzo iracondo dei Tea Party e dell'estremismo integralista cristiano, oltre al sostegno di un'ideologia conservatrice tanto spregiudicata quanto potente.
La prudenza di Obama si è inevitabilmente ripercossa nel campo dove sembrava che un nuovo "radicalismo" democratico fosse più percorribile: l'ambiente e la lotta al global warming. La lobby delle Big Oil e dei King Carbon (con il sostegno di media ipocritamente "neutrali" tra scienza ed ecoscetticismo) ha saputo imporre, dollari alla mano, l'agenda politica energetica, uscendo indenne da un disastro senza precedenti come il naufragio e la marea nera della Deepwater Horizon, e scatenando al Congresso controllato dai repubblicani
un'offensiva mai vista contro le energie rinnovabili, a cominciare dal competitore più temibile e maturo: l'eolico.
Il sostegno di Obama alla green economy (che potrebbe farlo vincere in
uno Stato in bilico come l'Hoio) è stato quindi "difensivo" ed ha dovuto parare i colpi di lobby potenti e spregiudicate come quelle finanziate dagli iperliberisti fratelli Koch che hanno imbrigliato lo slancio iniziale di Obama e riportato la politica internazionale Usa sul global warming a quella dell'interdizione dei progressi alle varie Conferenze dell'Unfccc e della sorda contrarietà al
protocollo di Kyoto ed al suo proseguimento.
I passi avanti di Obama, stoppati dal suo Parlamento, non sono andati oltre la promessa di un taglio delle emissioni di gas serra del 17% e di una mega-riduzione dell'80% nel lontanissimo 2050 quando nessuno ricorderà più quella promessa o sarà troppo tardi per ricordarla...
Il mistero è semmai perché Obama, prima e dopo la megatempesta Sandy e la più grande siccità degli ultimi decenni che ha colpito gli Usa, non abbia utilizzato il global warming per mettere a nudo tutte le bugie scientifiche e la disinformazione dei repubblicani e di Romney.
Dall'altra parte c'è un candidato repubblicano pura espressione della lobby dei
combustibili fossili, uno che dice che bisogna tagliare i costosi incentivi all'eolico ed alle energie rinnovabili, ma lasciarli (ed aumentarli) a petrolieri, miniere di carbone e centrali nucleari, uno che scambia il darwinismo sociale per l'America del sogno, uno che crede che per vivere meglio i poveri non debbano sprecare i soldi facendosi curare, circondato da ecoscettici che credono che il global warming sia un complotto comunista/Onu contro il business americano e che le donne stuprate non debbano abortire perché se sono rimaste incinta è per volontà del loro Dio impietoso e senza misericordia.
La scelta è tra il prudente Obama che ha mantenuto l'America nell'alveo della politica civile, e che forse un po' è anche riuscita a civilizzarla, e il candidato repubblicano che parla di moderazione e poi si accompagna a quelli che il Blues Brother definirebbero i nazisti dell'Illinois.
Tra la sofferta moderazione di Obama e il neoconservazionismo degli ecoscettici dell'Illinois capeggiati dall'imbarazzante Mitt Romney noi, se fossimo americani, sceglieremmo di continuare con il prudente Barack. I sondaggi dicono che tutto il mondo preferirebbe non rischiare con Romney e la sua banda di integralisti che ha allevato la crisi economica, finanziaria e politica che ha mostrato prima le rughe e poi le crepe del capitalismo spietato mascherato da conservatorismo compassionevole, speriamo che gli elettori statunitensi scelgano la prudenza al salto nel buoi all'indietro di Romney, che imbelletta il turbocapitalismo finanziario che a tutto pensa meno che a salvare il pianeta.