Le statistiche sugli incidenti enfatizzano la diminuzione di morti e feriti e trasmettono l'errata sensazione che le strade siano più sicure. Non è così. Sono diventati più efficaci i sistemi di sicurezza attiva e passiva delle auto e sono migliorate le tecniche della chirurgia d'urgenza che trasformano un morto di ieri in un invalido o un ferito grave di oggi. Ma non c'è nessuna politica o strategia virtuosa (tutor a parte) dietro questo risultato e le strade sono le stesse di sempre. La conferma arriva dai sinistri che coinvolgono coloro che vanno a piedi o pedalano, che non possono proteggersi con un air bag o una roll bar: i ciclisti uccisi da un impatto con un veicolo a motore sono aumentati del 7,2%.

Legambiente commenta così i risultati del rapporto sull'incidentalità stradale in Italia elaborato da Aci e Istat, sottolineando come anche sulla prima causa di morte (la velocità) dallo studio non emergono indicazioni chiare e una proposta di intervento per il futuro. "Si dice che a causare gli incidenti - commenta Legambiente - siano soprattutto la guida distratta o la mancata precedenza. Sarà senz'altro così, ma qualunque sia la causa a determinare l'esito di un incidente è sempre la velocità. Una distrazione a 20 chilometri orari provoca perlopiù lividi ed escoriazioni, una distrazione a 50 all'ora uccide un pedone o un ciclista sette volte su dieci".

Cosa fare dunque? Se l'intenzione delle pubbliche amministrazioni, locali e nazionali, è davvero quella di ridurre il numero di incidenti mortali bisogna cominciare a ridurre la velocità, almeno all'interno delle città dove si verificano i tre quarti dei sinistri. Abbassare il limite urbano a 30 kmh con esclusione delle principali arterie di scorrimento - obiettivo che stanno portando avanti alcune

amministrazioni locali da Reggio Emilia a Udine - potrebbe portare all'immediata riduzione di un terzo delle vittime della strada. Più di 1.200 vite umane salvate ogni anno.

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