Federico Geremicca

E adesso converrebbe che nessuno ricominciasse a parlare di «laboratorio siciliano». Oppure ritirasse fuori la metafora - solita e consolatoria - del «campanello d'allarme»: il verdetto emesso ieri dalle urne in Sicilia, infatti, è già oltre quel che si sarebbe potuto definire «l'ultimo allarme».  

L'ultimo allarme, per chi ha memoria, era suonato - invano - un anno e mezzo fa, prima col sorprendente esito di elezioni importanti come quelle di Napoli o Milano, e poi con l'avvento di Monti e dei suoi tecnici. E dunque, piuttosto che a un ultimo allarme, il voto siciliano di ieri somiglia assai più alla prima vera fotografia di un Paese dal sistema politico definitivamente collassato.

Basta mettere in fila quel che è uscito dalle urne: non c'è un dato, dicasi uno, definibile - tradizionalmente - normale. Vediamo. Intanto l'astensione: il muro del cinquanta per cento è stato alla fine infranto, e sono più i cittadini rimasti a casa che quelli andati alle urne. Poi lo stato di salute dei partiti: non ce ne è uno, tra quelli più o meno «storici», che arrivi al 15%, tratteggiando una situazione di grande debolezza e assoluta frammentazione. Ancora, il boom di Grillo: alcuni lo attendevano, altri lo temevano, ma nessuno avrebbe mai immaginato che l'M5S diventasse il primo partito certamente a Palermo e probabilmente nell'intera Sicilia.

Gli effetti di quel che ora appare come un inevitabile maremoto, sono naturalmente multipli. Per restare alla Sicilia, va annotato come il successo del neo-presidente Rosario Crocetta (sostenuto da Pd e Udc) sia stato così flebile e di dimensioni tanto contenute da non assicurargli neppure (stando agli ultimissimi dati) la maggioranza nella nuova Assemblea regionale. Se ci si sposta a Roma - e si mette da un canto il commovente ottimismo di Angelino Alfano, che ha definito «straordinariamente positivo» il risultato ottenuto dal Pdl - si avverte invece una preoccupazione, a volte addirittura un panico, ormai sempre più palpabile.

L'interrogativo al quale dovrebbero infatti rispondere i partiti dopo il voto siciliano, resta identico a quello che i fatti proposero un anno e mezzo fa: come arginare l'ondata dell'antipolitica (in tutte le sue forme) e recuperare credibilità e fiducia dagli occhi dei cittadini? All'epoca le risposte sembravano pronte: l'impegno era a ridurre drasticamente i costi della politica e a varare riforme costituzionali ed elettorali che - mentre Monti fronteggiava la crisi - rendessero il Paese più moderno ed efficiente. Sul primo fronte le risposte sono state tardive, insufficienti e spesso contraddittorie; sul secondo, nulla si è fatto: ma sarà proprio forse a questo nulla che ora ci si potrebbe aggrappare per tentare di salvare il salvabile e tenere in vita un sistema fiaccato e screditato.

La grande paura è legata, naturalmente, a quel che potrebbe accadere nelle elezioni politiche di primavera: partiti ancora in calo, astensione alle stelle, Grillo che continua a moltiplicare i suoi consensi... Con i pochi mesi a disposizione, non sono ormai più pensabili risposte politiche complessive e capaci di iniettare un po' di fiducia nei cittadini. Si può però tentare, attraverso lo strumento della legge elettorale, di arginare fenomeni in altro modo non contrastabili. E a proposito di legge elettorale, il messaggio che arriva dal risultato siciliano pare quanto mai chiaro: con una legge elettorale che fosse decisamente proporzionale, l'ingovernabilità sarebbe assicurata...

E' per questo - oltre che per il poco tempo ormai a disposizione - che è difficilmente immaginabile che il cosiddetto Porcellum finisca in cantina (come pure è stato assicurato per mesi). Si potrà forse procedere a qualche modifica marginale (una preferenza qui e lì, un ritocco alle soglie di sbarramento...) per però poi blindare l'impianto della legge e difendere sistema e partiti così come sono. Si dirà: ma il Porcellum non era da cambiare? Fa niente. E non si rischia di nuovo un Senato ingovernabile? Pazienza. Si fa un altro giro sulla stessa giostra, e poi si vedrà: magari annunciando in campagna elettorale che la prossima sarà una «legislatura costituente»... Non sembra una gran ricetta, è vero. Ma di migliori in campo davvero non ce n'è.

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