Dossier di copertina centrato sui cosiddetti "narcostati" per un Valori di novembre che racconta l'economia criminale legata al traffico internazionale delle droghe, alla loro produzione e consumo. Un giro d'affari che si stima valga il 4% del Pil mondiale. Interi Stati in cui la politica viene eterodiretta dai cartelli della droga che strutturano la propria attività come vere multinazionali. Ecco tutte le anticipazioni...
Chiamatela - se volete - narconomia. Regge le sorti finanziarie e spesso politiche di nazioni intere e domina "L'era dei narcostati", raccontata nel dossier di copertina. Una "Economia drogata" che gioca in Borsa e adotta logiche di profitto non differenti da quelle di una multinazionale, con una suddivisione del lavoro rigorosa, specializzazioni produttive e contratti da rispettare. E intanto alimenta il "Crimine globale", uccide persone, avvelena democrazie e mercati comprandosi l'economia sana. "Il narco-servizio bancario: da Wachovia a Hsbc", mostra del resto incapacità - e scarsa volontà politica - della finanza nel difendersi dall'infiltrazione di chi ha imparato ad accreditarsi tra i potenti, avvicinando pericolosamente Caracas e Bogotà a Londra e New York, via Wall Street. E tanto più facilmente grazie a "Regole vecchie, sanzioni minime. Così prospera la finanza dei narcos", scintillante di una liquidità pressoché infinita e suadente come una vacanza tutta "Mex, drugs & rock ?n roll. L'assalto dei narco-petrolieri" avanza proprio mentre la crisi globale spaventa, rendendo un'economia in crescita come quella "Argentina, narcostato sempre più attivo".
Ma la finanza etica veglia su tutti noi (o almeno ci prova). Sulle "Riforme finanziarie, è scattata l'offensiva europea" e - udite! Udite! - l'Italia ha persino detto sì a un primo tentativo di applicazione della Tobin tax, finora ostacolata dagli speculatori. Già tremano... oppure si abbronzano distesi su qualche spiaggia caraibica, visto che, nonostante molti buoni propositi pubblici, "Le banche restano in paradiso" (fiscale, s'intende): tra le meno contrite ci sarebbero quelle francesi, che ci tengono ancora ben 513 filiali (erano 494 nel 2010), ma americani e inglesi non sono da meno. E proprio ai sudditi di Sua Maestà tocca ascoltare il j'accuse che rimbomba dal libro del giornalista Nichoas "Shaxson: «La City? Uno dei tanti tax havens»". La finanza etica, dicevamo, veglia su di noi, però. E lo fa sostenendo l'economia alternativa e solidale, attraverso soggetti quali "Banca Etica e i Gas. Non così vicini", dopotutto, ma in dialogo continuo.
E se, grazie anche alla green economy o alla riscoperta dei beni comuni, sarà proprio l'economia solidale a salvare quella tradizionale, di certo quest'ultima non fa nulla per collaborare. Basti sapere quanto è attiva "La banda del buco" che trivella e perfora i terreni nazionali per vuotarli di gas e petrolio e riempirli di CO2 ad alta pressione. Nuovi business "ambientali" poco tassati e con valutazioni di rischio insufficienti. Ma non era meglio lasciare la terra all'agricoltura? La risposta sembra semplice, eppure rimane "Il dilemma di Milano: meglio il cibo sano o una nuova autostrada?". Le campagne del Parco agricolo Sud e la filiera corta del progetto Spiga & Madia attendono un responso, ma altrove incontriamo "Il mais italiano alla guerra della produttività", subendo l'incalzare della pannocchia iberica e dipendendo dai contributi europei. Tanto che non sono poche le fattorie passate a "coltivare" "Biogas, attenzione a chiamarla energia pulita", tuttavia, perché gli effetti negativi di questa conversione sono pesanti. E allora viva l'energia senza controindicazioni, l'"olio di gomito" dei nostri nonni, che si spostavano in bicicletta ben sapendo che "La sostenibilità viaggia a pedali".
Certo a livello internazionale l'olio di gomito non è forse un utile merce di scambio, viceversa lo sono i grandi patrimoni dei "Paperini e paperoni: chi finanzia il nuovo presidente?" è la domanda che ci poniamo rispetto alle elezioni in corso negli Usa. E "Se un mormone sale alla Casa Bianca" potrebbe anche cambiare qualcosa nelle politiche economiche e sociali... Maggiori ansie le riserviamo alla Cina, dove "Lo sporco business delle cavie umane" mette in dubbio il rispetto dei diritti umani in nome del business delle corporations. Colpa di chi vede questi Paesi in modo strumentale, come accade anche nell'area appena scossa dalla Primavera araba: ad esempio in "Libia. Dall'occupazione coloniale alla guerra umanitaria" non è infatti un passaggio indolore, né auspicato da chi si sollevò contro Gheddafi. Ma a decidere non sono i giovani di Tripoli, né quei milioni di abitanti delle favelas costretti a subire un "Brasile di terra, business e pallottole".