Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia.

Nel 2009 il mondo ha visto la città distrutta dal sisma. Ora capisce. E gli italiani? Viaggio nella zona rossa, dove ogni diritto è stato violato.

Mentre mi preparo al tour che oggi mi vede accompagnare i colleghi direttori di ActionAid Belgio, Francia, Svezia, Danimarca, Grecia, Irlanda, Regno Unito, Olanda e del Segretariato Internazionale, in una fitta agenda d'incontri con realtà sociali, culturali e istituzionali del territorio aquilano, mi torna sornionamente alla memoria un altro tour nella zona rossa di qualche anno fa, con un Obama in maniche di camicia arrotolate. Una "visita sul campo", come quelle che facciamo in altri 40 paesi perché le dinamiche di esclusione sociale non sono poi così diverse tra Nord e Sud del pianeta. Certo oggi non ci saranno fotografi ad attenderci, né un canestro da basket costruito ad hoc per compiacerci. Non importa. Siamo lì per ascoltare un'altra storia.

Chissà infatti quanto ne sanno i miei colleghi europei degli aquilani in pezzi. No, non parlo delle abitazioni, dei palazzi crollati, delle scuole, dei monumenti del centro storico ancora in macerie. Parlo dei diritti degli aquilani, negati dai giochi di potere, dalle decisioni prese a colpi di occhiolini strizzati all'opinione pubblica; dai discorsi e le promesse fiorite sui vocaboli ricostruzione, soldi, case, anzi C.a.s.e. e Map . Dalla mancanza di trasparenza. Del terremoto a L'Aquila - e della ricostruzione- si è parlato moltissimo. Ma le persone più direttamente coinvolte, cioè quelle che hanno perso i propri cari, la propria casa, il proprio lavoro, sono state ben poco ascoltate.

Tre anni fa, ActionAid approdò a L'Aquila sulla scia di una nave chiamata G8. Lo stesso per cui Obama girava nella zona rossa, il Vertice dei grandi della Terra, che molte organizzazioni e movimenti della società civile, monitorano ogni anno per verificare gli impegni dei Governi. Nacque "Le Crepe del G8", un video-inchiesta che documentava come lo spostamento del Vertice dall'isola de La Maddalena che avrebbe dovuto portare benefici agli aquilani, in realtà - 9 mesi dopo, a conti fatti, nero su bianco - non era stata affatto "un'occasione storica". C'era un'altra storia da raccontare e l'hanno raccontata gli aquilani. Perché i G8 costano e i costi devono essere resi pubblici e verificabili, altrimenti si perde di credibilità. La naturale evoluzione di quella prima esperienza sul territorio abruzzese, fu "L'Aquila a pezzi", un' inchiesta che esaminava la ricostruzione sociale delle comunità colpite.

Uno dei temi fondamentali su cui ActionAid lavora in Italia e sul territorio aquilano è quello dell'accountability, del diritto all'informazione sia in termini di accessibilità e tracciabilità, sia in ottica della partecipazione consapevole della popolazione e in particolare delle comunità più vulnerabili. Quello che gli aquilani intervistati hanno ripetuto in questi anni è "noi non vediamo nulla, non sappiamo nulla". E non perché non avessero un proprio giudizio sulle cose, ma perché il deficit di informazione dopo il sisma ha raggiunto dimensioni paradossali. La partecipazione, come la intendo io, è qualcosa di più che prendere coscienza di decisioni prese altrove.

Vorrei che in questo tour, nell'incontrare associazioni e persone, i miei colleghi europei sentissero non solo il perimetro fisico della zona rossa, ma quello simbolico di una città con le sue relazioni, passione civica , attaccamento al proprio territorio. La storia di chi - a 70 anni - era abituato a coltivare un orticello in montagna ed è stato obbligato a rimanere nelle stanze di un albergo sulla costa fino ad urlare "voglio rientrare nel mio ambiente". Di chi ogni giorno, si è mosso con la sveglia puntata alle 5 di mattina e 8 ore fuori casa. Di chi ha continuato a dare esami studiando sotto le coperte e di chi li ha preparati nell' "aula- tutto" perché le aule studio mancavano.

Di chi ha chiesto "di essere ascoltato, perché solo noi possiamo sapere e conoscere le esigenze della nostra città, mentre ci hanno isolati, perdendo l'identità". Le comunità smembrate, le voci frammentate quando non vietate, i cittadini allontanati dal centro che era il cuore pulsante. Che democrazia è quella che vieta di distribuire i volantini nei campi tenda, che vieta di riunirsi e organizzare assemblee? Che ti vieta per mesi di restare vicino al tuo territorio per partecipare alla ricostruzione? Ecco perché ho deciso di accompagnare a L'Aquila i colleghi europei. Perché L'Aquila è lo specchio di un'Italia che non sa cosa sia l'accountability. Perché le ferite de L'aquila sono quelle degli aquilani e dell'Italia tutta.

Ma L'Aquila è anche un territorio dove sono nati spontaneamente decine di comitati, dove i cittadini hanno sgombrato da soli le macerie, con le carriole diventate "corpi di reato" dove tutte le domeniche "si è tornati in centro, per respirare l'aria della città". Opponendo ad un monolite amministrativo verticista cieco e sordo, un modello di partecipazione dal basso. Rivendicando alternative più rispettose del tessuto sociale originario e elaborando proposte alternative. A L'Aquila, oltre alle manifestazioni nella loro città e sotto i palazzi del potere a Roma, i cittadini hanno fatto proposte progettuali e azioni concrete. Come la Legge di solidarietà nazionale di iniziativa popolare, nata in una fredda primavera di assemblee e gruppi di lavoro, dalla "mappa dei bisogni", mentre la città passava di mano in mano, di commissario in commissione.

Personalmente credo si debbano superare i ragionamenti che banalizzano e appiattiscono tutto ad un clima di antipolitica, all'idea del cittadino mobilitato solo contro le istituzioni, al sistema "o stai di qua o stai di là", due universi, quello della cittadinanza e delle istituzioni che si propagano in completa disarmonia. I cittadini possono e devono contribuire, ma è responsabilità delle istituzioni creare le condizioni perché ognuno possa fare la propria parte. A ognuno il suo. E' nelle mani di tutti noi il miglioramento della democrazia nel proprio Paese, al Nord come al Sud del mondo. Un processo che si basa appunto sui principi di trasparenza, responsabilità e partecipazione.

Oggi, mentre inizio il tour con i colleghi, è il momento giusto. Mentre L'Aquila torna alla ribalta sulla stampa nazionale e internazionale con una sentenza su cui tutti si pronunciano senza che nessuno ne abbia letto le motivazioni (perché saranno note tra mesi) torniamo nel capoluogo abruzzese perché siamo sempre stati convinti che gli aquilani sono i protagonisti e non le comparse della ricostruzione.

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