Tutto pare fermo per il social market atteso in settembre.
Più che una City for Good è una City for ghost. La battuta è fin troppo facile e senza dubbio anche troppo malevola. Ma porta dritto al risultato: l'iniziativa annunciata da Borsa Italiana la scorsa primavera, di arrivare a costituire a settembre un «marketplace online in cui le organizzazioni non-profit e le Aziende member si incontrano con domanda e offerta di beni e servizi pro-bono» si è rivelata tanto ambiziosa quanto scivolosa. E la piattaforma, il cui timetable prevedeva i primi scambi già il mese scorso, appare tuttora una splendida incompiuta.
City for Good era stata presentata il 2 aprile, in occasione del Charitable Trading Day di Borsa Italiana. La stessa Marina Forquet Famiglietti, responsabile delle Risorse umane per l'Italia (Borsa Italiana da qualche anno appartenente al London Stock Exchange), nonché responsabile della fondazione che gestisce la charity del gruppo inglese, aveva parlato del progetto a ETicaNews indicandolo come una potenziale iniziativa pilota per l'intera compagine di Londra. Del resto, il «social market exchange» era pensato come uno strumento «dove le società possano mettere a disposizione ciò che producono: un'auto, un computer, una linea telefonica, ma anche una docenza, uno stage, un percorso di formazione». Ma, soprattutto, era immaginato come una strada per «stimolare e aggregare la domanda» all'interno del terzo settore. L'aspetto paradossale, infatti, è che oggi le organizzazioni non profit sembrano incapaci di gestire (accedere, ricevere, organizzare) le risorse che potrebbero essere messe a disposizione dal mondo profit.
Evidentemente, qualche cosa si è inceppato. Già in estate, ETicaNews aveva ricevuto segnalazioni in merito alle difficoltà incontrate da Borsa nel concretizzare l'assetto organizzativo. Di conseguenza, ET. ha più volte sollecitato aggiornamenti in merito, senza successo. Probabilmente, i problemi di coordinamento dei partner Onlus e delle aziende member si sono a loro volta tradotti in complicazioni interne. Oggi, le voci parlano di un London Stock Exchange Group che sarebbe poco propenso a finanziare il progetto, e che tutto sia arenato sullo scoglio di investimenti di poche decine di migliaia di euro.
La sensazione è che in Piazza Affari ci sia una corrente piuttosto convinta della necessità di una sterzata social, ma che questa anima "buona" debba ancora fare davvero i conti con la metà più oscura della Borsa.