L'uomo più ricco del mondo.
Salvador Camarena
Carlos Slim Helù è l'uomo più ricco del mondo. È il messicano ed è presidente onorario del Gruppo Carso (América Movil), ha 72 anni e non ha la minima intenzione di farsi pensionare e anzi si fa paladino di quanti vorrebbero allungare l'età del ritiro dal mondo del lavoro. La sua agenda è fittissima, finita una riunione, ne apre subito un'altra. E intanto in questa intervista parla di Europa, di crisi strutturali, di disoccupazione e offre la sua ricetta.
Signor Slim, recentemente lei ha dichiarato in un'intervista: «Leggi i numeri e questi ti dicono quello che sta succedendo». Cosa svelano i numeri dell'Europa?
«Quanto sta accadendo è una combinazione di fattori, numeri, concetti, e dipende anche dalla Storia e dall'evoluzione delle cose. Da 10 mila anni la tecnologia ha dato luogo ai più grandi progressi di civilizzazione: la ruota, l'alfabeto, la navigazione, i mulini, tutto. Generalmente questo processo è stato progressivo, continuo. Ma all'improvviso avvengono rivoluzioni tecnologiche, che provocano dei grandi cambiamenti. È successo con la società industriale, soprattutto durante la sua seconda fase, agli inizi del XX secolo, e succede ora con la società tecnologica, avanzata, accelerata. Dopo essere passati attraverso un'epoca post industriale, stiamo vivendo questa nuova civiltà in cui i paradigmi sono molto diversi rispetto a quelli delle società agricole, dove il potere era monolitico, esisteva la schiavitù, non c'erano diritti umani. Oggi questa nuova civiltà è fatta di democrazia, libertà, diritti umani, cura dell'ambiente, concorrenza, produttività, globalizzazione. Questo grande cambiamento tecnologico ha molte conseguenze.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale c'è stato un grande sviluppo in Europa: l'economia è cresciuta, così come la popolazione. Ed è aumentata l'incidenza fiscale dei governi, che riscuotono una somma sostanzialmente alta del prodotto interno e, malgrado ciò sono in deficit. E le ragioni principali di quanto sta succedendo oggi è che dopo la Seconda Guerra Mondiale, i governi hanno fissato come stile di vita uno stato di benessere sempre maggiore diventato oggi insostenibile. È necessario apportare degli adeguamenti a questo Stato di benessere stabilito. Sono necessari dei cambiamenti strutturali; i governi si vede li stanno apportando, e seguono la tradizionale ricetta dell'adeguamento del deficit fiscale attraverso l'aumento delle imposte o i tagli della spesa pubblica. E cosa succede in questo stato di benessere? Succede che le persone vanno in pensione a 60 anni, quando la speranza di vita è di 85 o più anni. Eppure la cosa più grave che sta succedendo, e in questo caso sì che i numeri parlano in modo implacabile, è che c'è una grande quantità di disoccupati, soprattutto giovani. Questo dal punto di vista sociale, economico e in generale è molto preoccupante nel caso dell'Europa. E non c'è segno che i governi stiano pensando di risolvere questa questione».
Quali cambiamenti strutturali sono necessari per lo Stato di benessere?
«L'età pensionabile deve essere alzata. Nel passato le società erano principalmente basate sul lavoro fisico, nella società industriale si doveva stare sui macchinari, c'era sforzo fisico. Adesso ci sono società di servizi, dove la cosa importante non è la forza fisica, ma l'esperienza e la conoscenza, è una società della conoscenza, è una tristezza che nell'età migliore dell'essere umano qualcuno cessi di essere occupato quando a 60 anni è nel suo momento migliore».
Lei sarebbe già in pensione...
«Da molto! Questo è assurdo. In una società della conoscenza le persone con più esperienza e conoscenza non vengono utilizzate perché restano senza lavoro. Credo che l'età pensionabile dovrebbe essere portata molto più avanti. D'altra parte ci devono anche essere delle reti di protezione sociale di livello adeguato e si deve prevedere che nei programmi di pensionamento le persone siano pagate per qualificarsi per una riconversione lavorativa. È molto importante che i governi, e più in generale gli specialisti, studino dove si creeranno nuovi posti di lavoro nei prossimi 5 o 10 anni, per riqualificare fin d'ora le persone per questi lavori, e fomentare quelle attività dove si creeranno questi nuovi lavori per dare la possibilità di accedervi alle persone nuove che lo chiedono. Inoltre, è necessario fare anche dei programmi di occupazione, soprattutto nel caso dell'Europa, con formule di lavoro di tre o quattro giorni. Invece di cinque giorni di otto ore lavorative, bisognerebbe lavorare tre giorni per 11 ore. I tre o quattro giorni restanti sarebbero di riposo per leggere, partecipare ad attività di intrattenimento, per la convivenza familiare, l'accesso alla cultura, l'educazione, i viaggi...».
È un cambiamento culturale.
«Stiamo vivendo un cambiamento totale di civiltà, con nuovi paradigmi e quello che dobbiamo fare sono i cambiamenti strutturali che questo cambiamento richiede. Non è possibile pensare che il 50% dei giovani sia senza lavoro. I piani di disoccupazione o di assicurazione alla disoccupazione devono essere legati ad una riconversione lavorativa affinché una persona che oggi è disoccupata, che si dedicava ad una determinata attività, venga preparata per altre attività. Quanta più preparazione una persona ha, tante più possibilità ha di avere una migliore offerta e di trovare lavoro».
Visto con gli occhi di un investitore, dove sono, in questo momento, le opportunità in Europa? In quali settori?
«Per prima cosa è molto importante che siano risolti i problemi strutturali. Vedo difficile che i Paesi, una volta raggiunto lo sviluppo, tornino al sottosviluppo. Ci sono invece prove del fatto che altri progrediscono più di loro, che superano... L'Europa passerà un periodo difficile, ma dovrà trovare le soluzioni e continuare il suo sviluppo».
Qual è la sua posizione circa il futuro dell'euro?
«Credo che debba sopravvivere. Si devono cercare delle politiche fiscali che siano rispettate. L'unica cosa che potrei far notare è che un tasso di cambio dell'euro molto alto, di fronte ad un dollaro che ha cercato di svalutarsi per fare alcune correzioni di carattere commerciale e di conto corrente, resta di un livello così alto che toglie competitività all'Europa, quindi in molti sensi, fa sì che l'Ue torni ad una specie di economia chiusa, dove solo coloro che ruotano attorno all'euro possono commerciare tra loro, ma così è faticoso esportare o avere capacità competitiva».
Ai leader europei è mancata immaginazione, creatività, coraggio?
«Servirebbe maggior leadership».