Jacopo Barigazzi
Ad aiutare Baumgartner nel battere il record mondiale è stato il precedente detentore del titolo, l'84enne Joe Kittinger. Davanti ai primati infranti dall'allievo, Kittinger ha commentato: «non avrei saputo fare di meglio». Ma la loro storia dice anche molto altro.
Una vecchia massima dice che «il nemico o lo spezzi o te lo fai amico». Ora pensiamo alla performance di Felix Baumgartner. Ha scatenato l'ironia della Rete («il primo a rompere la barriere del suono non è stato lui ma Gigi D'Alessio» oppure «Baumgartner is really down to hearth») ma quello che colpisce in quel salto da 39 mila metri non è tanto e non solo la storia di questo aviatore austriaco, quanto che ad aiutarlo nell'impresa sia stato il precedente detentore del titolo, l'84enne Joe Kittinger.
L'ex ufficiale Usa ha infatti detenuto il record del mondo per il salto più alto con paracadute e la maggior velocità raggiunta da un uomo in atmosfera dal 16 agosto 1960 fino a ieri. Giorno in cui, grazie al suo aiuto, l'allievo Baumgartner l'ha superato. Nello sport non è certo la prima volta che il grande campione aiuta dei giovani a fare meglio di lui. Mentre in politica sarebbe come se D'Alema aiutasse Renzi a vincere le primarie (o meglio le elezioni, visto che alle primarie il primo non si è mai sottoposto). Il quotidiano inglese The Independent sottolinea poi che Kittinger, che al suo primo salto da 23 mila metri svenne e si salvò per un pelo, non vede nessuna lesa maestà nel successo dell'allievo anche perché, anche dopo ieri, detiene ancora uno dei suoi tre record, quello del tempo più lungo in caduta libera (4 minuti e 36 secondi). Davanti agli altri tre primati infranti dall'allievo, ha commentato laconico: «non avrei saputo fare di meglio».
Certo i contesti sono cambiati. Mentre l'austriaco deve la sua performance a sponsor privati, l'americano lavorava per un programma governativo, il progetto Excelsior che aveva lo scopo di studiare i sistemi di salvataggio ad alta quota per l'esercito Usa. E, prima di loro, sono i limiti che sono cambiati. Mentre cerchiamo di andare su Marte e la fisica lavora ai nuovi computer quantistici, attesi come la vera novità di questo secolo, sappiamo che nessuno di noi morirà per avere cercato di infrangere un limite, reato per cui Dante condanna Ulisse reo di essersi spinto oltre il confine delle Colonne d'Ercole ("il folle volo"). D'altra parte questo è proprio il mestiere della scienza: diventare tecnologia e modificare i nostri limiti e, attraverso di essi, i nostri contesti, con tutte le conseguenze etiche che questo comporta.
E poi certo, anche uno come Kittinger non è uomo comune. Non tanto, non solo, per le sue performance (quando si lanciò quel 16 agosto era il 1960, vale a dire che fu il primo uomo nello spazio dato che la missione di Gagarin è dell'anno successivo) ma perché, già famoso, andò tre volte a combattere in Vietnam. Non pago, la terza volta andò da volontario e fu abbattuto. Catturato, spese 11 mesi nel famigerato "Hanoi Hilton", la prigione dove si torturavano i militari Usa. All'accademia navale della Marina Usa, nel Maryland, sono ricostruite le condizioni di prigionia di quel posto. Uscire da lì vivo era difficile, sopravvivere senza perdere la trebisonda è ai limiti dell'umano. Proprio come quei salti nel vuoto che hanno fatto la fortuna di maestro e allievo.
Insomma l'impresa dell'austriaco e del suo mentore americano, contiene molto della nostra storia, anche perché sono proprio i nostri limiti, i nostri "no", a definire la nostra identità. Spostandoli, la cambiamo. Ma quel salto contiene molto anche di quello che la nostra storia dovrebbe essere. Il rapporto maestro-allievo è il più antico e solido meccanismo di trasmissione del sapere: dai retori medievali al Sensei giapponese, fino alle botteghe artigianali. Anche in Università, in teoria, funzionerebbe così. Solo che spesso, alle nostre latitudini ma non solo, si applica uno dei "princìpi di Peter". Quello secondo cui il professore sceglie come allievo uno più stupido di lui per essere sicuro di non essere messo in ombra. Allievo che, quando andrà in cattedra, farà la stessa cosa, finché l'ultimo professore sarà così idiota da non capire che il suo allievo è un genio e la catena potrà riniziare. In fondo quella di Kittinger è stata cooptazione ma nella forma sana, quella che, sapendo di stare scommettendo sul cavallo giusto, sa che l'uomo dà il suo meglio quando, consapevole di non potere alzare se stesso sollevandosi dai propri capelli, sa di avere bisogno degli altri. Così quando tu allievo salterai nel vuoto saprai che puoi farlo perché quel vuoto in realtà non è tale, pieno com'è della generosità di chi sa che, cercare non di spezzare il nemico ma di farselo amico, è una suprema forma di civilità.
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