ET. INTERVISTA/20 - STEFANO DAMBRUOSO
«Il pericolo di eclatanti azioni terroristiche non può dirsi scongiurato definitivamente, nonostante siano trascorsi undici anni dal crollo delle Torri gemelle. I predicatori d'odio sono ancora all'opera e sono stati in grado di globalizzare i loro messaggi». È quanto sostiene Stefano Dambruoso, esperto giuridico presso la Rappresentanza permanente italiana alle Nazioni Unite a Vienna. Dambruoso, negli scorsi anni sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Milano, è stato titolare delle inchieste più importanti sul terrorismo islamico in Italia. Per il suo impegno, nel 2003 la rivista Time lo inserì tra i "Trentasei eroi europei".Il magistrato barese è autore di due fortunati saggi sul terrorismo islamico. Il primo con Guido Olimpio ,"Milano-Bagdad", e l'ultimo con Vincenzo Rosario Spagnolo, intitolato un "Istante prima".
Dottor Dambruoso, le recenti vignette contro l'Islam sono un pretesto per "risvegliare" il cosiddetto terrorismo di matrice islamica?
Direi che sono l'ennesima occasione in cui singole fasce del mondo musulmano possono trovare il consenso della più larga maggioranza, facendo leva su una presunta discriminazione culturale che il cosiddetto Occidente riserva nei loro confronti. La capacità di aggregazione delle fette più piccole dell'Islam rispetto al mondo musulmano, che continua a vivere in modo tranquillo, potrebbe favorire una generalizzazione della protesta.Undici anni fa, con il crollo delle Torri gemelle, quasi tutti hanno preconizzato uno scontro tra civiltà. Secondo lei, si è realizzato davvero?Siamo tutti testimoni di esperienze in cui il mondo musulmano, che doveva rappresentare uno dei due poli di questo scontro, riesce a vivere in modo del tutto normale. Per esempio, se si va in Turchia, ci si può rendere conto che i cittadini vivono avendo sempre ben presenti modelli cosiddetti "occidentali". Spesso ci sono preconcetti e sussistono timori infondati verso il mondo musulmano.
Il terrorismo islamico è ancora una minaccia? Può continuare a colpire?
Assolutamente sì. In Europa e in Occidente, nelle aree interessate dagli attentati, a New York nel 2001, a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005, è stata stimolata una capacità di controllo e monitoraggio da parte dell'intelligence. Al contrario, nonostante tale capacità di monitoraggio, Al Qaida e altre organizzazioni, pur essendo state colpite, sono state in grado di globalizzare il messaggio di redenzione con il sacrificio. Pensiamo a quanto successe a Milano nel 2009, dove un cittadino libico, giunto in Italia non come terrorista, decise di farsi saltare davanti a una caserma, dimenticando di avere una moglie italiana, convertitasi per lui, e due figli nati in Italia.
Al terrorismo, dunque, si ricollega il tema, sempre delicato, dell'integrazione?
La vicenda, appena ricordata, dell'attentato di Milano ci induce a riflettere. L'integrazione non deve ridursi a banale ospitalità nei confronti di chiunque, ma deve avere un carattere, a mio avviso, più selettivo per chi raggiunge l'Italia alla ricerca di reali occasioni di lavoro.
La crisi siriana potrebbe spingere alcune cellule terroristiche ad agire in Europa?
Sì, ma si tratterebbe di cellule appartenenti non a un'organizzazione associata, come è stato con Al Qaida. Mi riferisco a propaggini che possono utilizzare un retroterra simulatamente religioso, nascosto dietro la crisi siriana, per avanzare le proprie pretese politiche e richiamare così sempre di più l'attenzione. Anche quanto accaduto in Libia, dove è stato ucciso l'ambasciatore statunitense, desta non poche preoccupazioni. Non escludo fatti emulativi in Europa e gli apparati di intelligence tengono alta la guardia. Pochi giorni fa sono stati allontanati dall'Italia due cittadini libici sospettati di essere legati a organizzazioni terroristiche operanti in Libia.
Il terrorismo internazionale non si basa soltanto su predicatori d'odio e kamikaze. Necessita anche di ingenti flussi finanziari per operare. Che cosa è stato fatto dall'11 settembre 2001 per contrastarlo anche sul fronte finanziario?
Ci sono controlli stringenti, mirati e non più dettati dall'emotività. Ricordo che all'indomani dell'11 settembre una banca araba operante tra Como e Lugano, sospettata di rapporti con il terrorismo islamico, dovette affrontare non poche vicissitudini giudiziarie. Ma in quel caso i sospetti furono subito fugati. È stata sviluppata nel corso degli anni una legislazione che permette di fare verifiche approfondite in termine di flussi finanziari e contrastare il terrorismo su questo fronte.
Investigatori e magistratura devono fare i conti anche con fenomeni terroristici di casa nostra. Il momento politico e sociale che sta vivendo l'Italia la preoccupa?
Il contesto storico, rispetto al passato, è meno influenzato dalle ideologie. A preoccupare, però, dovrebbero essere le forme di dissenso su come si sono espressi i valori occidentali negli ultimi trent'anni. La crisi economica e finanziaria di oggi è una delle espressioni più deleterie di quell'approccio occidentale tanto criticato. L'area degli anarco-insurrezionalisti o dei black-bloc è in prevalenza giovanile e con la presenza di qualche cattivo maestro può portare in questo particolare periodo storico alla nascita di gruppi insidiosi per la sicurezza e l'ordine pubblico.
Lei ha più volte sottolineato l'esigenza di una Procura nazionale antiterrorismo. Quanto è penalizzata l'Italia per l'assenza di un organo giudiziario del genere?
Il terrorismo è un fenomeno per sua natura transnazionale e per questo richiede la cooperazione tra vari Paesi. In Europa ciascun Stato, in ossequio alla normativa comunitaria, si è dotato di autorità specializzate e centrali. In alcuni Paesi si tratta di organi misti, in cui si coniugano potere politico e giudiziario, in perfetta sintesi e in grado di formulare proposte nei consessi europei. L'Italia, invece, non avendo un organismo che si dedica esclusivamente al terrorismo, si presenta in Europa sempre con una pluralità di voci di magistrati, ciascuno titolare della propria piccola indagine, che rende poco credibili le nostre posizioni. L'Europa impone, anche per ragioni economiche, maggiore cooperazione e l'Italia sulla sicurezza disattende questo orientamento. In una materia in cui la transnazionalità è fisiologica è opportuno creare un'autorità centrale di contrasto al terrorismo.
Gennaro Grimolizzi