In Colombia quasi il 30 per cento dell'erogato è ad alto rischio.
Lorenzo Cairoli
Quando gli abitanti di Cisneros, dipartimento di Antioquia, sono arsi dal sole e con le labbra crepate sognano un bicchiere d'acqua, sanno che attaccarsi ai rubinetti sarebbe la cosa più folle che potrebbero fare. Una roulette russa che nella migliore delle ipotesi li metterebbe un ginocchio con un'infezione gastrointestinale. Nessun acquedotto della città dispone di impianti di potabilizzazione. Quindi o si fa bollire l'acqua prima di consumarla o si compra in buste di plastica, nelle tiendas, i negozi della città. Che è carissima. A volte più della birra. A Cisneros quando passava il treno arrivavano turisti da tutto il dipartimento. La città era prospera, la popolazione felice. Nel 1999 hanno chiuso la ferrovia e Cisneros è piombata, giorno dopo giorno, in un agonico oblio. L'acqua è l'ultima goccia di questo calvario.
Lo stesso disagio lo vivono quotidianamente altri 22 comuni del Nordest di Antioquia. E in molte altre parti del paese. Secondo la Defensoría del Pueblo che ha il compito di monitorare lo stato delle acque colombiane i municipi ad altissimo rischio di contaminazione sono 322 - dove l'acqua, per capirci, è un'arma batteriologica. Nel 2010 l'emergenza ne coinvolgeva 283, 39 in meno di quelli del 2012. Nel 2010 solo in 282 comuni si poteva bere l'acqua erogata dagli acquedotti locali senza correre rischi. Oggi sui 1172 comuni del paese è un lusso che tocca solo a 250 comuni. E lo Stato che fa? Nulla. Come se il problema fosse venezuelano. Come se i municipi senza acqua potabile si trovassero in un altro continente. L'avvocato Mayibe Ardila specializzata in diritti umani e battaglie ambientaliste vigila l'acqua dei colombiani dal 2005. "La situazione - ammette - è leggermente migliorata ma la strada da percorrere e' impressionante. Registriamo progressi nelle grandi città ma nelle aeree rurali l'acqua potabile resta ancora un'utopia".
Secondo i dati Encuesta de Calidad de Vida DANE del 2011 solo il 56,3% delle aree rurali del paese aveva acquedotto, mentre nelle città il 96%. Secondo l'Istituto Nacional de Salud, tra 2007 y 2011, il 58% dell'acqua erogata ai colombiani era assolutamente potabile. Però il 30% era ad altissimo rischio infezione. Così a Cisneros, aspettando tempi migliori, si distribuiscono volantini alla popolazione in cui si prega di non consumare l'acqua senza averla prima bollita. E il sindaco ogni giorno lo ripete anche alla radio, tra una salsa e un vallenato.
Se i colombiani piangono, che dire degli africani? Gli africani sono secoli che litigano coll'acqua. Nel Burkina Faso la gente passa giornate a trasportare acqua. Trascinandosi ogni giorno per 20, 30 chilometri, carichi come muli, sotto a un sole inesorabile, solo per avere qualche orcio pieno di un'acqua che dà il vomito solo a vederla. L'acqua in quell'Africa è solo per la sete, inconcepibile pensare che possa servire ad altro. Non ci si lava con l'acqua, nè si lavano i panni o le pentole. Per i panni, lo sterco ridotto a cenere. Per le pentole si usa la sabbia. Sul fondo delle pentole lo sporco si coagula a strati. In Bolivia, le multinazionali hanno assetato i boliviani per anni, li hanno ridotti al mendìcio per pagare la loro acqua, finchè un giorno i boliviani esasperati sono scesi in piazza e hanno rimandato le multinazionali a casa.
Corrado Alvaro, proprio l'inizio di Itinerario Italiano parlava dell'acqua, dell'archeologia dei paesi assetati, della religione dell'acqua, di gente, la sua, che la riconoscevi in viaggio, perchè ad ogni getto d'acqua, torrente o rivo sfiorato dal treno, correva a guardare dal finestrino. Alvaro e la sua famiglia vivevano a San Luca un paesino senza acqua, mica come a Napoli o come a Roma dove l'acqua era buona e sgorgava dai rubinetti. Poi un giorno il Governo fece un acquedotto anche nel paese degli Alvaro. "I miei ebbero l'acqua in casa, che bastava aprire il rubinetto per vederla bella corrente e chiara, e tanto impetuosa che faceva mille bollicine nel bicchiere. Gli orci non servirono più, e rotti fecero da vasi per i fiori. Nessuno si ricordò più del rivo nella valle, nè delle fonti solitarie, nè delle avventure delle vene montane. I ragazzi sguazzavano coi pieducci rosa nella pozza dell'acqua in piazza; nessuno pensò più alla montagna, e la notte, quando il vento portava il rumore della cascata del mulino e della segheria, non ci si ricordava più della sete.
Nessuno più cercò le sorgenti, nè le donne andarono più in fila indiana al rio, tremando se due occhi lucidi stavano appiattati dietro la siepe. Da principio non potevano passare davanti alla fontana senza chinarsi a bere, come per non mandar perduta tanta grazia di Dio. Ma l'acqua è tanta, e chi la può bere tutta? poi si abituarono, ma dissero ancora, per decantare il loro paese: "Abbiamo l'acqua". Quanto ai miei vecchi, non pensarono più, forse, a partire. I figli lontani vi tornano di rado, e tutto quel fuggire è stata una vana immaginazione. Qualcuno di noi che aspetta quel viaggio ha detto: "Non abbiamo più tanta fretta, perchè abbiamo l'acqua". La notte l'acqua si lamenta compressa nei tubi e vuole uscire. E pensare che noi abbiamo cercato mondo anche per l'acqua".
Chissà se un giorno anche a Cisneros, come capitò ai genitori di Alvaro in Calabria, l'acqua che sgorgherà dai rubinetti sarà bella corrente e chiara, e tanto impetuosa da far mille bollicine nel bicchiere....