L'America bianca è destinata al declino, quella ispanica non ha gli strumenti per contrastarlo. I demografi lanciano l'allarme, ma i due candidati alla presidenza sono troppo occupati per prestar loro attenzione.

Al primo faccia faccia in tv (mercoledì scorso a Denver), Mitt Romney sembra avere avuto la meglio su Obama. Come ampiamente prevedibile, i due hanno parlato di diritto alla felicità, economia, tasse, classe media impoverita e anche del futuro degli Usa. Ma nei loro interventi (così come nei discorsi fatti singolarmente, nelle fasi precedenti di questa campagna per le presidenziali) non c'è stato nessun riferimento al problema demografico degli Stati Uniti. La questione invece è ben presente agli scienziati sociali e agli economisti più lungimiranti e che rimanda al fattore M, il melting pot non proprio riuscito nella più potente democrazia del mondo.

Al meeting annuale della Population Association of America, che si è tenuto lo scorso maggio a San Francisco, l'allarme è stato lanciato forte, chiaro ma inascoltato dalla politica. «La nostra incapacità di rispondere alle questioni poste dalle diseguaglianze persistenti razziali, etniche ed economiche rischia di portarci alla disgregazione economica e sociale», ha detto il presidente dell'associazione, Daniel Lichter della Cornell University. La Population Association of America non è un'associazione qualunque né un covo di catastrofisti o ideologi antirazzisti. Raccoglie alcune tra le migliori teste pensanti e gode di prestigio internazionale. Lichter si è espresso in questi termini sulla base di dati concreti e, in particolare, quelli dell'Us Census Bureau, che rivelano un'estesa e persistente disparità a livello di salute, scolarità e benessere tra i diversi gruppi etnici presenti negli Stati Uniti. Il gap che più interessa i demografi è quello tra la popolazione bianca di origine europea e quella di origine ispanica.

Il primo gruppo è sempre più anziano e va assottigliandosi numericamente. Il secondo è giovane e in crescita. Il primo gruppo è colto e in buona salute. Il secondo ha dei livelli di istruzione bassissima, si nutre male e cresce peggio. O questi due segmenti sociali trovano il modo di allearsi, è stato rilevato a San Francisco, oppure il sogno americano nel giro di pochi anni si trasformerà in un incubo. E questo, indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca resti Obama o arrivi Romney. Il problema è che i giovani ispanici, con i loro bassi livelli di istruzione, hanno zero chance di arrivare a ricoprire le posizioni professionalmente strategiche indispensabili per il futuro del Paese. Pensiamo a medici, scienziati, ingegneri, informatici e ad altre professioni altamente qualificate.

Gli stati Uniti rischiano, insomma, di diventare un gigante senza testa e con i piedi d'argilla. Il quadro è grigio e complesso. Lo confermano anche altri ricercatori, magari meno pessimisti di Lichter. E lo ha sottolineato recentemente anche il New Scientist, autorevole settimanale scientifico inglese. La soluzione potrebbe/dovrebbe arrivare da un'alleanza strategica tra bianchi ricchi e vecchi e ispanici poveri e giovani. Di questo avviso è, per esempio, Doweli Myers, demografo alla University of Southern California in Los Angeles. I primi dovrebbero investire nell'istruzione dei secondi e i secondi, in qualche modo, garantire ai primi una vecchiaia tranquilla. Ma è difficile che questo scambio avvenga. Vari studi e secoli di esperienza rilevano una sostanziale indisponibilità da parte delle persone benestanti a investire (parliamo di investimenti non di carità, si badi bene) nel futuro di giovani che non appartengono al loro segmento sociale. La società americana è troppo frammentata e settorializzata per arrivare a concepire il pensiero che la solidarietà e le pari opportunità, prima ancora che moralmente consigliabili, sono praticamente convenienti. E Obama e Romney sono troppo preoccupati dall'imminenza della sfida elettorale per attardarsi su temi scomodi e rischiosi come la cooperazione sociale e il superamento delle illogiche logiche razziali.

Stefania Ragusa

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