Perché in Italia si torna a parlare di cooperazione? Il punto di vista di Alex Zanotelli.
La conferenza sulla cooperazione che si è tenuta a Milano nei giorni scorsi ha lasciato molti temi in discussione. Presenti i rappresentanti di governo, premier in testa a dichiarare che di risorse ce ne sono poche e che gli interventi vanno ridefiniti, presenti tanti privati interessati ad un business miliardario, presenti Ong, amministratori di Regioni e di grandi Comuni sotto il suggestivo slogan "Muovi l'Italia cambia il mondo" ma poi, nei fatti? Alex Zanotelli, missionario comboniano, un tempo, negli anni Ottanta, direttore di Nigrizia è stato per molti anni negli slum di Nairobi. Oggi, dopo aver dato vita a numerosi movimenti per i beni comuni, vive nel rione Sanità di Napoli e non ha smesso di occuparsi di quelli che chiama correttamente "paesi impoveriti", soprattutto dell'Africa. Ed ha un punto di vista preciso sulle ragioni per cui in Italia si torna a parlare di "cooperazione".
«Io considero ipocrita il governo Monti in perfetta continuità con chi lo ha preceduto, con Berlusconi. L'Italia è in Europa il penultimo paese nella quota di aiuto destinata ai paesi impoveriti. Quello che è aumentato nel ministero degli Esteri è il business della cooperazione. Non a caso il dicastero va sotto la dicitura "ministero degli affari esteri". Affari e non lotta alla fame. Si tratta di una economia basata sul malaffare sotto la copertura della cooperazione. In realtà si portavano armi e si finanziavano guerre. Qualcosa che è infinitamente più grave delle tangentopoli su cui la magistratura non ha mai indagato. Qualcuno ancora si ricorda dei danni provocati in Somalia, ai tempi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) dove la corruzione già forte del governo di Siad Barre è stata resa esponenziale dall'appoggio degli allora vertici del Psi.
Bisogna leggersi oggi le ultime pagine di un libro di Mauro Rostagno (ucciso dalla mafia), in cui si affermava di come si andava imponendo il traffico di rifiuti tossici. Oppure riprendere la vicenda che ha portato alla morte di Ilaria Alpi: si racconta qualcosa di terribile. Si dice che da Roma partivano generi alimentari per la Somalia, a Palermo gli aeroplani venivano svuotati e riempiti di armi. Il tutto con il benestare di mafia e servizi segreti. Ma non si tratta solo della Somalia, basti pensare al disastro che provoca l'Eni in Nigeria, soprattutto sul delta del Niger. Il governo Berlusconi ha bloccato, a suo tempo, una commissione per indagare sull'accaparramento di terre per produrre bio carburanti. E l'Eni è fra i promotori di questa conferenza. E in Kenia. Veltroni era venuto a Korogocho ma ha tradito quella vivacità civile che potrebbe connettersi a quella italiana. Comunque, malgrado i proclami e gli impegni, anche a questa conferenza temo sia mancato un discorso serio e politico nei confronti del Sud del mondo. La conferenza ha dimostrato assenza di etica e questo produce un disastro totale. Non mi sembra di aver sentito i vertici dell'Eni dichiarare di voler bloccare la produzione di gas oleari».
Eppure nel governo, fra i promotori della conferenza di Milano ci sono anche persone dotate di una propria sensibilità sociale come il ministro Riccardi.
«Infatti Riccardi certe cose le sa e dovrebbe avere una ispirazione diversa. Non doveva, anche per il peso della Sant'Egidio, legare simili programmi alla fede. Così si tradisce tutta la dottrina sociale della chiesa».
In fondo ha accettato anche lui la logica del privatizzare la cooperazione.
«Sì, basti pensare agli interventi dei privati per la costruzione delle dighe in Etiopia. Se Riccardi è coerente dovrebbe rispondere in una maniera alternativa, magari convocando un'altra conferenza con tutte le associazioni di base per definire gli interventi e le risorse partendo dalle esigenze dei popoli e non da quelle di chi vuole trarne profitto. Ma quello che andrebbe rimesso in discussione, in Africa come da noi, è l'intero sistema di sviluppo che produce impoverimento di molti e arricchimento per pochi».
Questo poi determina forti spostamenti migratori a cui si reagisce con la risposta menzognera aiutiamoli a casa loro. In realtà questo aiuto si realizza raramente nel miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni interessate ai progetti.
«Io sono convinto che la vera cooperazione la facciano gli immigrati con le rimesse nei propri paesi di origine. Penso a Capo Verde che su questa vicenda ha ormai una lunga storia ma anche a tanti altri paesi le cui economie si reggono su quanto giunge dal lavoro di chi si spacca la schiena da noi per pochi euro. Se noi vogliamo veramente aiutare dobbiamo rimettere in discussione l'intero nostro sistema economico finanziario (ormai soprattutto finanziario) e non accontentarci di interventi di filantropia. Questo sistema, dobbiamo dirlo, produce impoverimento. Quest'anno sono 1400 milioni le persone che soffriranno la fame e l'impoverimento è destinato a crescere. Tra l'altro cominciamo a capire che le ricette che hanno distrutto le economie di quei paesi producono solo povertà, ora le stiamo applicando anche da noi e anche da noi peggiorano le condizioni di vita».
Tra l'altro la miopia occidentale impedisce di comprendere come nei paesi africani stia invece crescendo sempre più una società civile capace di alzare la testa.
«Tempo fa sentivo padre Stefano a Korogocho. Hanno aperto da poco una piccola libreria e hanno già registrato circa 60 mila presenze. Lì c'è un enorme desiderio di conoscere, di capire e di imparare a reagire. Saranno gli impoveriti del Sud del mondo a rimettere in discussione questo sistema. Da noi ha funzionato un grande lavoro di addormentamento sociale prodotto nell'era berlusconiana. Siamo travolti da scandali assurdi e non accade nulla, non si reagisce. Dovremmo imparare dall'Africa e fare nostra la loro straordinaria forza, la capacità di unirsi e di lottare con metodi non violenti per mettere radicalmente in discussione questo sistema. Alla crisi economica seguirà una crisi ecologica che potrebbe distruggerci tutti e dobbiamo impedirlo».
Anche da questo punto di vista sembra di intravedere un tessuto di cittadini e cittadine migranti intenzionato a mobilitarsi anche qui manifestando una forte richiesta di diritti e dimostrando molta consapevolezza.
«Anche da noi i fatti si dimenticano ma gli unici che hanno avuto la forza di ribellarsi ai clan camorristi a Castel Volturno sono stati i cittadini africani dopo una strage che ne aveva visti cadere, innocenti, sei. Hanno avuto il coraggio di mettere in piedi una rivolta mai vista. Anche a Rosarno c'è stata una presa di coscienza forte e radicale contro la n'drangheta che altri non hanno avuto il coraggio di prendere. Ci hanno insegnato in contesti durissimi cosa sia la dignità».
Lei intravede qualche possibile via di uscita politica in Italia?
«La politica in Italia è quasi completamente prigioniera dei potentati economici e finanziari. Sembra senza speranza. L'unica via che auspico è quella di una società civile che imponga di riportare la politica al primo posto. In futuro occorre un paese in cui chi è eletto debba rendere conto ai propri elettori, ai cittadini e non ai potentati».
Stefano Galieni