Non sembrano essere tra le priorità del governo i settori del turismo e dei beni culturali, dal momento che non si parla di misure in loro favore nel decreto appena varato dal ministro Passera. Mentre l'edilizia continua ad essere la favorita, chissà dove finirà il nostro patrimonio culturale.
Ricapitoliamo: l'Italia è un paese provvisto del patrimonio artistico e naturale più invidiato al mondo, è considerato la meta turistica più ambita, dal momento che racchiude al suo interno il maggior numero di siti UNESCO ed è circondato da chilometri di costa e spiagge le quali affacciano su acque cristalline.
Una realtà oggettiva sotto gli occhi di tutti: che la cultura costituisca il petrolio dell'Italia forse l'avrete sentito dire tutti, che siate giovani o meno giovani, eppure a giudicare dalla gestione portata avanti nell'ultimo cinquantennio di questo settore, sembra che noi italiani non siamo poi tanto esperti nel far fruttare questo proficuo giacimento. Neanche i "tecnici" sembrano essere stati in grado di invertire la rotta: basta leggere l'ultimo Decreto Sviluppo, approvato in Senato lo scorso 3 agosto e sottotitolato "Misure urgenti per la crescita del paese" per accorgersi che nelle 188 pagine che costituiscono il corposo testo di legge, delle materie turismo e cultura si parla davvero ben poco. Perché in mezzo a programmi per edilizia e ristrutturazioni, incentivi per energie rinnovabili, sburocratizzazione e riqualificazione di aree urbane periferiche degradate non si accenna ad alcuna misura di investimenti e strategie per la promozione e potenziamento del redditizio settore turistico e culturale? Forse, a detta dei tecnici, i comparti non richiedono "misure urgenti", nonostante i dati sulle affluenze turistiche dell'ultima stagione estiva non siano dei più incoraggianti (è stato registrato un calo del 10% del fatturato nei primi otto mesi dell'anno secondo Federalberghi)
E se le strutture ricettive non godono di buona salute, non sembrano trovarsi in una situazione migliore i nostri monumenti e siti archeologici. Non stupisce più la notizia di un nuovo crollo a Pompei o del Colosseo, non si attendono più finanziamenti per far ripartire il settore e non si mettono in campo misure per la promozione di quei luoghi della cultura periferici ma di notevole rilievo che rischiano di soffocare perché soppiantati da mete più conosciute e gettonate come Venezia, Firenze e Roma.
E così, invece che contrastare il turismo "mordi e fuggi", di rendere competitivo il nostro paese sia per la facilità degli spostamenti che per prezzi ragionevoli ( chiunque abbia provato a prenotare o abbia prenotato un traghetto per la Sardegna quest'estate forse avrà un esempio lampante della scarsa competitività dell'Italia rispetto ad altri paesi più organizzati e lungimiranti) nel settore turistico culturale si continua a procedere sulla via dei proclami, senza passare a misure di sviluppo. Ad esempio l'ultima considerazione riguardo il valore del comparto beni culturali che secondo le previsioni, entro il 2020 dovrà creare ricchezza pari al 20% del Pil nazionale. Non è ancora chiaro secondo quali modalità, che, a quanto pare, non verranno applicate a breve, dal momento che la parola sviluppo non viene affiancata a questo settore.
Una strada completamente diversa da quella imboccata dall'Unione Europea che attraverso il suo ultimo rapporto sull'argomento, Promoting cultural and creative sectors for growth and jobs in the EU, prevede un finanziamento da 1,8 miliardi di euro per la cultura e le attività creative, settori che ad oggi costituiscono il 3,3% del Pil europeo e il 3% dell'occupazione contro il 2,6% del 2006.