Casi riaperti all'ultimo, esami del Dna, processi viziati: sono 140 gli innocenti salvati dal patibolo dal 1973.

a cura di Francesco Semprini

Processi rifatti e condanne cancellate, vite salvate a un passo dal gong; ma anche esistenze cancellate da un'iniezione letale. Dal 1989, l'anno in cui il test del Dna entrò massicciamente nel sistema giudiziario americano, oltre 2000 persone - verso il braccio della morte o condannate a pene pesanti - hanno visto i loro casi riaprirsi, in oltre 300 casi grazie al test del Dna, in altri per errori procedurali durante la raccolta delle prove o per come sono state ottenute le confessioni. Addirittura, secondo il «Death Penalty Information Center», 140 detenuti sono stati rilasciati dal 1973 dal braccio della morte poiché è emersa la loro innocenza, l'ultimo di questi (prima di Damon Thibodeaux, sabato) è Joe D'Ambrosio (Ohio). Ma quanti invece sono stati uccisi anche se innocenti? Di sicuro Carlos De Luna nel 1989. E Questo è l'interrogativo su cui fanno leva gli attivisti per i diritti umani che si battono contro il patibolo in una nazione dove il 66% ritiene giusta e legittima la pena capitale. Da quando gli Stati Uniti hanno rimesso la pena di morte (1976), quasi 1300 persone sono state uccise. Il Texas guida la classica degli Stati dove il boia è più attivo, 476 casi, precedendo la Virginia. Ma l'errore, come dimostrano queste storie, è tragicamente dietro l'angolo.
 
[A.S.]

Per Damon la salvezza dopo 15 anni  

Ha trascorso quasi la metà della sua vita nel braccio della morte di un penitenziario della Louisiana, per un omicidio che non ha commesso. Nel 1997 Damon Thibodeaux, 38 anni, è stato accusato di aver stuprato e ucciso la cugina acquisita di 14 anni Crystal Champagne. Il cadavere della ragazzina era stato ritrovato il 20 luglio 1996, un giorno dopo che era uscita di casa per recarsi al vicino supermercato. I sospetti sono subito caduti su Damon, allora 23enne. Il ragazzo viene fermato e portato in una centrale di polizia dove, dopo nove ore di estenuante interrogatorio, fornisce la confessione di colpevolezza. Una versione dei fatti dettata dallo sfinimento e dalla manipolazione psicologica, come spiega «The Innocence Project», l'organizzazione che si è occupata del suo caso.  

Damon viene condannato al patibolo nell'ottobre 1997 da una sentenza che si basa soprattutto sulla confessione di colpevolezza. Subito dopo, sulla base di un elevato numero di prove di innocenza fornite dall'avvocato, viene avviata una nuova indagine durata diversi anni e molto costosa. Dal 2000 a perorare la causa è anche «The Innocence Group», un'associazione senza scopo di lucro che si occupa dei casi di malagiustizia. A scagionare Damon, dopo oltre dieci anni dietro le sbarre in attesa di essere giustiziato, è l'esame del Dna, assieme ad altre prove che evidenziano come la sua confessione fosse falsa e frutto di metodi di interrogatorio «inaccettabili» su cui si sta indagando. «Sono libero finalmente, mi sembra surreale poter camminare per strada», ha detto Damon. Ma nonostante tutto, l'uomo è grato alla giustizia che gli ha dato la possibilità di rifarsi una nuova vita da libero cittadino.

"Prove e atti manipolati"  

Terry è salvo  

Fra tre giorni si sarebbe dovuto sottoporre all'iniezione letale che avrebbe messo fine alla sua esistenza. A salvare Terry Williams è stata una sentenza del tribunale distrettuale di Filadelfia, che ha ritenuto inammissibile il verdetto di colpevolezza perché l'accusa, durante il processo tenuto 30 anni fa, ignorò, o addirittura occultò, alcune prove che potevano scagionarlo.  

Williams viene condannato a morte per l'assassinio di Amos Norwood, un chimico di 56 anni, avvenuto nel 1984. Il corpo dell'uomo viene ritrovato - carbonizzato - in un cimitero di Filadelfia con evidenti segni di percosse e gravissime contusioni. Williams, allora diciottenne, viene identificato come il responsabile dell'assassinio. Secondo l'accusa non c'è una motivazione precisa: «Norwood è stato ucciso solo perché ha accettato un passaggio a casa». Il giudice lo condanna e il ragazzo finisce nel penitenziario di Filadelfia in attesa dell'esecuzione. Ma proprio con il suo avvicinarsi il giudice Teresa Saramina della Pennsylvania Court of Common Pleas accetta la richiesta di una nuova udienza avanzata dalla difesa.  

Gli avvocati del ragazzo sono in possesso di nuove evidenti prove secondo cui l'accusa aveva nascosto e manipolato degli atti che avrebbero avuto un'importanza sostanziale. In particolare i procuratori ritoccarono la testimonianza della moglie di Norwood, sopprimendo le parti in cui diceva che l'uomo aveva relazioni sessuali con adolescenti. «L'occultamento di prove di questo genere altro non ha fatto che minare la fiducia per la sentenza di colpevolezza», ha detto il giudice Saramina annunciando che si rivolgerà alla Corte suprema della Pennsylvania per chiedere l'annullamento del processo.

Iniezione letale per Carlos, ma non era colpevole  

Si è sempre dichiarato innocente, dal momento in cui è stato fatto salire sul sedile posteriore dell'auto della polizia, sino al giorno della sua esecuzione. Aveva ragione. Carlos De Luna, cittadino americano di origine ispaniche, viene accusato di aver ucciso la dipendente di una stazione di servizio di Corpus Christi, in Texas, la 24enne Wanda Lopez. Il corpo della donna viene ritrovato nei pressi della pompa di benzina privo di vita. Era stata assassinata a coltellate subito dopo aver chiamato la polizia perché insospettita da un uomo che si stava aggirando nei pressi.  

La polizia trova dopo mezz'ora De Luna e nel corso della perquisizione vengono rinvenuti 150 dollari nella sua tasca. Ma su di lui non c'è nessuna traccia di sangue. L'uomo, condannato due volte per tentata rapina, spiega al giudice di aver visto la scena del delitto ma si rifiuta di identificare l'autore e viene così condannato a morte: «Ero lì ma qualcun altro ha commesso l'omicidio. Non voglio fare nomi». Forse il timore di ritorsioni. De Luna viene sottoposto all'iniezione letale il 7 dicembre 1989. A rendergli giustizia 23 anni dopo è un'indagine della Columbia Human Law Review, pubblicata lo scorso maggio, che accerta che l'assassino della Lopez fu Carlos Hernandez, un soggetto molto pericoloso che abitava nello stesso quartiere di De Luna. E che gli somigliava molto.

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