Nemmeno quelle sostenibili.
Dalle sommosse spagnole a quelle greche, passando per l'Ilva di Taranto.
Luca Aterini
Passando dalla Spagna alla Grecia, un fiume di cittadini si sta riversando nelle strade e nelle piazze per protestare, talvolta con violenza, contro le misure di austerità propugnate dall'Europa e dai rispettivi governi. Effetto della crisi, con le difficoltà e l'aumento delle disuguaglianze economiche che porta con sé. Ma è proprio l'aumento delle disuguaglianze ad essere condizione sufficiente e scatenante delle "rivoluzioni"? Contrariamente a quanto il buon senso potrebbe osservare, due recenti studi pubblicati dallo statunitense National Bureau of Economic Research, sembrano suggerire di no.
In Russian inequality on the eve of revolution, gli economisti Steven Nafziger e Peter H. Lindert scrivono, pur con le dovute cautele sulle conclusioni, che «nel 1904, alla vigilia della sconfitta militare e della rivoluzione del 1905, la disparità di reddito in Russia era mediocre per gli standard di quel periodo, e meno rispetto ai livelli di disuguaglianza presenti oggi in paesi come la Cina, gli Stati Uniti e la Russia stessa».»
Anche Peter H. Lindert e Jeffrey G. Williamson, gli autori dell'altro studio - American incomes 1774-1860 - si dedicano ad affrontare il tema della disuguaglianza in un altro caso di rivoluzione, nel senso più proprio del termine. Secondo le stime degli studiosi, alla vigilia della guerra d'indipendenza americana i coloni dei futuri Stati uniti d'America avevano «di fatto redditi molta più uguaglianza di reddito rispetto alle famiglie in Inghilterra e nel Galles, intorno al 1774. In effetti, New England e le Middle Colonies sembra siano state più egualitarie rispetto a qualsiasi altra parte del mondo dove le misurazioni fossero possibili».
Questi studi aiutano a riflettere sul ruolo della disuguaglianza economica nelle trasformazioni sociali, ed anche sul perché l'Italia non sia al momento scossa dai sommovimenti che agitano la Spagna e la Grecia. Come sottolinea l'Ocse nel suo recente rapporto Divided we stand: why inequality keep rising, «la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi OCSE, più elevata che in Spagna» (nella foto), e in entrambi i Paesi la crisi ha portato manovre economiche da lacrime e sangue. Eppure, evidentemente, la disuguaglianza da sola non rappresenta una molla sufficiente. Ciò non significa che non sia rilevante: rimane un indice fondamentale per misurare il progresso di una nazione. Studiandolo più approfonditamente non mancano le indicazioni che suggeriscono la via che le politiche economiche dovrebbero imboccare per uscire davvero dal tunnel di una crisi che sembra non finire mai.
Jeffrey Sachs, il noto direttore dell'Earth Institute, non manca di sottolineare nella sua ultima riflessione per Project Syndicate come la riduzione delle disuguaglianze economiche sia una componente fondamentale per una strategia di sviluppo sostenibile. Il nord Europa, ed in particolare la Scandinavia, non rappresentano certo l'eden in terra, e così sarebbe sbagliato (oltre che fuorviante) dipingerle, ma rimangono da questo punto di vista un valido e concreto esempio, anche per l'economista statunitense. Come è possibile osservare ancora nel grafico sopra riportato, i Paesi scandinavi si trovano agli antipodi rispetto all'Italia per quanto riguarda la disuguaglianza di reddito, sia che venga misurata prima o dopo gli effetti redistributivi dell'intervento pubblico, tramite imposte sui redditi e sussidi sociali.
Non meno importante, negli stessi Paesi è normalmente più elevata l'attenzione alla sostenibilità economica e ambientale, oltre che a quella sociale. Come ricorda Sachs, sei i Paesi Ocse utilizzano mediamente 160kg di energia equivalente al petrolio per ogni 1.000$ di Pil realizzato. Se gli Usa sono abbondantemente sopra la media, a 190kg per 1.000$, la scandinava Danimarca è ferma a 110kg.
Qualcosa, dunque, ci sarà pure da poter imparare. Soprattutto, imparare a non cadere nella tentazione di procedere a fasi alterne, contrapponendo lavoro, economia e ambiente. Sarà pur vero, come osserva riferendosi al caso Ilva Raffaele Bonanni, il leader Cisl, che «non esiste attenzione alla salute (e all'ambiente, ndr) se c'è degrado economico». Altrettanto valida, però - e la storia dell'Ilva, coi suoi drammi, è ora negli operai disperati a dimostrarlo - è il rovescio della medaglia della stessa affermazione: non esiste progresso economico (né sociale) senza attenzione alla salute e all'ambiente.