Donatella Mulvoni

La 67esima sessione dell'Assemblea generale di quest'anno è diversa dal solito. E non solo per la Siria e perché Obama evita di vedere Netanyahu. Mario Monti parlerà nel pomeriggio di giovedì. Era da tre anni che il presidente del Consiglio italiano non partecipava all'Assemblea generale.

NEW YORK- L'anno scorso era stata una sedia di velluto celeste ad anticipare l'apertura dei lavori dell'Assemblea generale. Simbolicamente rappresentava il 194esimo seggio all'Onu. La delegazione palestinese la portò in giro per tutto il palazzo delle Nazioni Unite, annunciando la richiesta, poi fallita al Consiglio di sicurezza, di esser riconosciuto Stato membro.

Quest'anno, a dare un avvio scoppiettante alla 67esima sessione dell'Assemblea generale, ci ha pensato il presidente dell'Iran. Nonostante il segretario generale Ban Ki Moon domenica, in un incontro bilaterale, gli abbia chiesto toni più pacati per evitare il «pericolo di una retorica incendiaria», Ahmadinejad ieri, durante il vertice di alto livello sullo Stato di diritto, ci è andato giù duro. Ovviamente il primo bersaglio è stato il suo principale nemico: Israele, il quale «non avrebbe radici storiche nel Medioriente» e la sua esistenza non sarebbe altro che una fase di passaggio. Difendendo poi il suo programma nucleare, si è scagliato contro il comportamento ostile dell'Occidente, ma ha spiegato anche di non essere minimamente impensierito dalle minacce di attacco espresse dal presidente israeliano Benjamin Netanyahu. Parole durissime anche contro il Consiglio di sicurezza e la pratica, definita «illegittima», del potere di veto, appartenente ai cinque membri permanenti (Stati Uniti, Francia, Russia, Cina, Regno Unito). «Alcune Nazioni - ha detto Ahmadinejad - con diritto di veto hanno preferito rimanere in silenzio riguardo alle testate nucleari di un falso regime, Israele, mentre impediscono il progresso scientifico di altre Nazioni».

Pensieri che ripeterà anche mercoledi, quando sarà il suo turno davanti all'Assemblea generale. Il copione sembra già scritto: sarà più concentrato rispetto al passato, visto le pressioni internazionali, a difendere il proprio programma nucleare, sviluppato a «fini puramente civili»; ripeterà le accuse a Israele e la delegazione dell'Unione europea uscirà dalla sala per protesta non appena il presidente iraniano pronuncerà le solite frasi negazioniste riguardo l'Olocausto o esprimerà dubbi sulle reali colpe della tragedia dell'11 settembre.

Se il discorso di Ahmadinejad si ripete ormai da tempo senza troppe variazioni, la 67esima sessione dell'Assemblea Generale sarà molto diversa da quella dell'anno scorso che era stata caratterizzata da un'atmosfera di speranza legata soprattutto alla diffusione della democrazia nei Paesi arabi in rivolta. Quest'anno i lavori si aprono sullo sfondo della drammatica situazione in Siria e con il mondo arabo indignato verso gli Stati Uniti a cuasa della pubblicazione su Youtube di un film contro il profeta Maometto.

Il dibattito inizia questo pomeriggio (ore italiane). A New York sono arrivate 165 delegazioni, di cui 120 guidate da capi di Stato o di governo. L'intervento più atteso della giornata è quello del presidente americano Barack Obama, il secondo a parlare dopo il Brasile. Sarà, anche in questo caso, un discorso molto diverso da quello del 2011 (incentrato sul tema israelo-palestinese). Tra meno di cinque settimane si svolgeranno le elezioni presidenziali, Obama dunque parlerà davanti a una platea internazionale, ma in realtà saranno tutte parole misurate con il metro della politica nazionale. Affronterà i recenti disordini nel mondo musulmano; sarà duro nei confronti dell'Iran e non avrà sconti per la Russia e la Cina che con i loro veti hanno bloccato per ben tre volte al Consiglio di sicurezza una risoluzione contro Damasco.

Il presidente inoltre cercherà probabilmente anche di far rientrare la polemica scaturita dal mancato incontro con Netanyahu. I due non si incroceranno proprio a New York. Obama tornerà a Washington mercoledi, poche ore prima dell'arrivo del premier israeliano, nonostante quest'ultimo abbia premuto per vederlo. Non è una faccenda personale, ha fatto sapere il suo staff. Il presidente quest'anno non avrà nessun incontro bilaterale e non parteciperà ai meeting previsti nel palazzo di vetro. L'unico momento in cui ha incrociato gli altri capi di Stato e di governo è stato ieri durante una cena organizzata proprio dall'amministrazione statunitense al Waldorf Astoria. Tra gli invitati anche il presidente del Consiglio Mario Monti, con sua moglie.

Monti parlerà nel pomeriggio di giovedì. Era da tre anni che il presidente del Consiglio italiano non partecipava all'Assemblea generale (l'ultima volta Berlusconi nel 2009). Nel pomeriggio di oggi incontrerà invece Ban Ki moon e il presidente dell'Assemblea Generale Vuk Jeremic; poi insieme al ministro degli esteri Terzi giovedi parteciperà ad alcuni importanti meeting, tra cui quello sul Sahel e sulla Somalia. Prima di Monti, in mattinata parlerà il presidente palestinese, Mahmoud Abbas.

La Palestina continua a essere un tema molto caldo. Se l'anno scorso il Consiglio di sicurezza ha bocciato la sua richiesta di diventare uno Stato membro, quest'anno ci riproverà, abbassando il tiro e rivolgendosi direttamente all'Assemblea generale. Abbas infatti nel suo discorso anticiperà l'intenzione di chiedere la modifica del proprio stato: da «entità osservatrice» a «Stato non membro osservatore permanente». La richiesta è molto diversa da quella dell'anno scorso. Nel 2011 la Palestina chiese di diventare Stato Membro con diritto di voto, questa volta invece punta a rimanere solo «osservatore», ma ad essere considerato uno Stato, al pari, ad esempio, del Vaticano. Se per i palestinesi non cambierà molto nell'immediato, questo status permetterà pero' al presidente dell' Anp di poter accedere alle varie agenzie dell'Onu e poter appellarsi alla Corte penale internazionale, per denunciare i diritti violati del suo popolo.

I tempi però saranno lunghi. Nel suo discorso infatti Abbas anticiperà soltanto le proprie intenzioni, ma la richiesta sarà presentata all'Assemblea generale molto probabilmente nei primi mesi del 2013, sicuramente dopo le elezioni presidenziali Usa. Perché questa venga approvata basta la maggioranza semplice dei 193 paesi membri. I diplomatici palestinesi non hanno dubbi sulla riuscita, contano di avere dalla loro parte almeno 150 Stati. Qui il veto non esiste, quindi l'opposizione degli Stati Uniti rappresenterà solo un voto in meno a favore.

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