di Michele Sasso
Ad agosto in Italia si è registrato il picco delle vittime. E anche il dato complessivo dall'inizio dell'anno segna un più 3,2 per cento. La causa? La crisi, che accresce i carichi di lavoro e spinge a tagliare sulla sicurezza.
Mentre migliaia di italiani erano in vacanza, nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi si continuava a morire di lavoro. E il picco di un dramma nazionale diffusissimo è stato proprio il mese di agosto, quasi sinomino di ferie e di riposo. L'agosto più nero degli ultimi tre anni con 51 vittime contro le 48 del 2011 e le 45 del 2010. Si peggiora, quindi, e a confermarlo è anche l'incremento della mortalità nei primi otto mesi del 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011: più 3,2 per cento. I numeri sconfortanti sono registrati dell'Osservatorio sicurezza sul lavoro di Vega Engineering con un monitoraggio sull'emergenza delle morti bianche nel nostro Paese.
Sale così a 359 il bilancio delle vittime nei luoghi di lavoro in Italia e a contare il maggior numero di morti bianche non è più la produttiva Lombardia, bensì l'Emilia Romagna con 49 infortuni mortali. La causa principale è il terremoto che ha sconvolto le province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia: ma anche a distanza di quattro mesi ad agosto si sono registrate 9 incidenti mortali, 5 dei quali nel settore agricolo.
In otto mesi la strage silenziosa di chi muore per un posto di lavoro ha registrato 46 casi in Lombardia e 34 in Toscana. A seguire la Campania con 27, il Veneto e la Sicilia (26), il Piemonte (23) e l'Abruzzo (20). «E' una stima al ribasso perché a questi numeri bisogna aggiungere i lavoratori in nero che non rientrano nelle statistiche e chi non è iscritto all'Inail» spiega Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza della Cgil, che aggiunge: «Ogni anno abbiamo quasi 900 vittime ma anche un milione di infortuni e migliaia di casi di malattie professionali».
Un esercito di uomini e donne che si ammalano e nei casi più gravi non tornano più a casa perché ogni giorno rischiano la propria pelle. Le cause? Il lavoro nero, certo, ma anche la crisi che fa scegliere alle aziende di aumentare i carichi di lavoro e contemporaneamente risparmiare sulla sicurezza "dimenticando" di acquistare caschi, scarpe, indumenti per i propri operai. Così nelle piccole e piccolissime fabbriche che sono la spina dorsale della produzione nazionale (86 per cento) si registrano i casi più drammatici.
Tra le province italiane è Modena a far rilevare il maggior numero di vittime sul lavoro con 17 decessi da gennaio ad agosto. Seconda è Brescia (14), terza Salerno con Torino (11). Il più alto rischio di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa viene invece registrato a Grosseto (93,5).
La principale causa di morte continua ad essere quella provocata da una caduta dall'alto (24 per cento delle morti), seguita dal ribaltamento di un veicolo in movimento come un muletto (20,6 per cento) mentre al terzo posto c'è lo schiacciamento dovuto alla caduta di oggetti pesanti dall'alto (16,7 per cento). Decine di inchieste aperte negli anni testimoniano che in molti casi erano vite che si potevano salvare usando i sistemi di sicurezza obbligatori, facendo prevenzione nei cantieri, insomma diffondendo la cultura della sicurezza per evitare i cosidetti "omicidi del lavoro".
L'agricoltura è il settore più colpito, dove oltre agli stipendi bassi si aggiunge anche il rischio: è nella raccolta di frutta e verdura che si registrano il maggior numero di morti bianche e il 36,9 per cento del totale delle vittime sul lavoro. E' infatti questo settore che ha il maggior numero di lavoratori stagionali: manodopera poco preparata e sulla quale le aziende non investono neanche un euro per la sicurezza.
Altro nervo scoperto del lavoro senza regole sono i cantieri dove il lavoro nero e il caporalato dettano legge: per tirare su case e palazzi si è ferito mortalmente un quarto dei lavoratori presi in esame. E sono anche i migranti a pagare il loro tributo: il 12,1 per cento del totale.