Marco Maccari

Intervista a Edoardo Patriarca

Nuovo presidente del Centro Nazionale del Volontariato e, da questa settimana, presidente dell'Istituto Italiano della Donazione, Edoardo Patriarca, 57 anni, una lunga militanza nel volontariato cattolico e nello scoutismo, risponde alle domande di AiBiNews sulla crisi del Terzo Settore e sul ruolo che gli enti di volontariato dovranno avere nel XXI secolo.

Lei ha ricevuto una nomina dopo l'altra, presidente?

Tutte richieste inaspettate. Tra l'altro, tutti nuovi impegni sotto il segno della gratuità. Non dico che non mi abbiano scombussolato, ma ho accettato, anche se con un po' di fatica, perché il nostro settore, quello del volontariato e della società civile attiva, rischia di perdere capacità di parlare al Paese e spazi per una visione condivisa. In questi termini e con il mio bagaglio di esperienza, credo che si tratti di una sfida da accettare.

Un settore in crisi, appunto. Quale direzione prendere?

La direzione di un settore che non sia semplice erogatore di servizi. Dobbiamo ricordarci che il nostro compito è tessere relazioni sul territorio, secondo il ruolo specifico e originario del volontariato. Del resto, con la chiusura dell'Agenzia per il Terzo Settore si è creato un vuoto importante al quale bisogna dare soluzioni. E un discorso a parte, su questo argomento, merita l'Istituto Italiano della Donazione.

Sentiamo.

Contribuii a fondare l'Istituto Italiano della Donazione diversi anni fa. Credo, oggi più che mai, che possa diventare un ponte tra due mondi che, a torto, vengono contrapposti e tra i quali deve e può esserci una certa alleanza. Per il volontariato si tratta di riscoprire un compagno di strada, il mondo imprenditoriale, che oggi vuol farsi "sociale" e vuole impegnarsi nel territorio. La cultura del dono, quando nacque, insegnò che le donazioni non sono questione di solo moralismo, bensì anche di economia. Per questo c'è esigenza di chiarezza e trasparenza nel donare. Chiusa l'Agenzia per il Terzo Settore, l'Istituto della Donazione può ritrovare proprio qui una missione forte.

Ai.Bi. da tempo prospetta per gli enti di volontariato un nuovo futuro: il Quarto Settore, quello del volontariato. Qual è la sua posizione?

La crisi del settore è forte, certamente, ma già a suo tempo manifestai un'idea diversa. Credo che il volontariato abbia ancora un compito strategico interno al Terzo Settore. La motivazione di quanto affermo risiede nella nostra difficoltà a sostenere forme di rappresentanza: immaginare una moltiplicazione diventa una prospettiva faticosa. Possiamo sognarla, penso, a una condizione: recuperare il volontariato anni Ottanta, quello che era generatore di Terzo Settore.

Perché non creare uno spazio definito e capace di evitare aggregazioni confusionarie, però?

Già siamo diventati ahimé irrilevanti, o quasi, nel dibattito con le istituzioni. Credo che gli enti di volontariato abbiano il dovere di presenziare ed evitare le derive aziendalistiche delle associazioni di settore - derive improntate all'efficienza pura - per dare cultura, visione, ed esprimere il punto di vista della gente, quello che oggi sorge dappertutto ma non riesce ad arrivare a destinazione. Ci vuole un volontariato sulla frontiera, capace di intuire le risposte che vanno date. Capace di un ruolo profetico.

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