Il governo apre il mercato ai marchi internazionali. E il Paese incrocia le braccia
Ilaria Maria Sala
Il governo indiano riprova ad aprire il mercato interno della grande distribuzione a marchi stranieri, ed è subito sciopero generale. Cortei, treni bloccati, traffico in tilt, scuole chiuse, manifestazioni (anche se con poca gente a New Delhi). I maggiori centri urbani, in prevalenza quelli a forte presenza di nazionalisti indù o roccaforti della sinistra, dall'Uttar Pradesh, al Bihar, fino al Gujarat, sono rimasti paralizzati.
Caos a Bangalore e Chennai. I sindacati parlano di 50 milioni di persone ad aver partecipato allo sciopero. Commercianti in primis, terrorizzati dall'ingresso sul terreno indiano di colossi internazionali come Wal Mart e Carrefour che a loro dire spazzerebbero via la concorrenza decretando l'estinzione dei piccoli negozi e la crisi dei campioni nazionali della distribuzione abituati finora a un generoso protezionismo.
Cavalcando il malcontento, il Bharatiya Janata Party, Bjp (il maggior partito d'opposizione, conservatore e nazionalista indù), si è opposto all'allentamento delle restrizioni per le aziende straniere voluto dal Partito del Congresso e ha approvato lo sciopero. Insieme al pacchetto di riforme economiche varato dal primo ministro Manmohan Singh, gli scioperanti contestano la proposta di aumento del 14% del costo del diesel e del gas domestico dovuto alla diminuzione dei sussidi, già avanzata e ritirata qualche mese fa, dopo l'opposizione popolare che aveva rischiato di indebolire la coalizione governativa.
Singh, che da ministro delle Finanze negli Anni Novanta aveva dato il via alle riforme economiche, da quando ha preso le redini del governo è accusato di immobilismo e pusillanimità. E man mano che i problemi interni si uniscono a quelli globali, e che la crescita indiana è semi-bloccata, il crescente senso di crisi ha spinto il governo a varare le riforme. Annunciate venerdì dal nuovo ministro delle Finanze, Palaniappan Chidambaram, il pacchetto di misure per la crescita autorizza fino al 51% di partecipazione straniera nei supermercati e nella distribuzione, per quanto la decisione ultima sia lasciata ad ogni singolo Stato. Ciò significa che per il momento solo gli Stati dove il Partito del Congresso è maggioritario metteranno in atto quanto stabilito - con l'eccezione del Kerala, nel Sud, che cita la forza delle organizzazioni sindacali come ostacolo insormontabile. Saranno così i partner stranieri stessi a dover negoziare con le autorità locali le condizioni del loro ingresso nel Paese.
Gli oppositori sostengono che a perdere saranno i piccoli spacci di alimentari e beni di uso quotidiano a gestione familiare, mentre chi caldeggia l'innovazione cita le carenti infrastrutture indiane, che potrebbero essere modernizzate grazie all'intervento di capitali stranieri, e il desiderio della classe media di avere accesso a veri supermercati.
Fra le altre riforme annunciate, la possibilità per le compagnie aeree internazionali di acquistare quote fino al 49% nelle compagnie indiane (alcune in serie difficoltà economiche) e l'autorizzazione per gli investitori stranieri di ottenere fino al 74% nei gruppi radiotelevisivi, e la parziale privatizzazione di quattro colossi delle materie prime (Oil India, National Alluminium Hindustan Copper e Mmtc, gruppo di trading). Il settore industriale esulta per la ventata di aria fresca, mentre gli scioperanti promettono opposizione ad oltranza - e il Bjp spera di portare il Paese ad elezioni anticipate - per quanto il blocco totale che si erano auspicati giovedì abbia avuto un successo molto relativo.