Stefano Casertano
Economia esportativa, grandi gruppi, finanza di Francoforte fanno temere alla classe media tedesca che la Germania si stia «americanizzando». Si teme che la ricchezza di pochi aumenti a spese di tutti. E le riforme degli ultimi anni non hanno risolto la piaga sociale dei «disoccupati di professione».
«Le persone diligenti non guadagnano abbastanza per vivere»; «Anche chi ha un'educazione universitaria deve barcamenarsi tra stage e contratti a termine»; «Il primo 10% delle famiglie più ricche possiede il 56% del patrimonio privato, e la ricchezza deriva per la maggior parte da eredità». Sono alcune delle frasi pronunciate dagli ospiti del salotto di Anne Will, nel talk-show più importante del primo canale tedesco, la sera di mercoledì 19 settembre.
Era presente anche la giornalista Kathrin Fischer, autrice di un libro-denuncia sul declino della classe media tedesca, Generazione laminato. A ispirare il titolo sarebbe stato il fatto che nel suo appartamento in affitto a Francoforte il pavimento non fosse in parquet. Non è un tema ispirato da particolari fatti di cronaca, ma da un sentimento d'incertezza economica sempre più diffuso tra la piccola borghesia tedesca. Nonostante record di crescita al 3%, la percezione è che la ricchezza sia distribuita in maniera meno equa rispetto al passato.
Da Anne Will era ospite anche il segretario generale del partito liberale, Patrick Döring, che ha scelto per sé l'impopolare posizione di «difensore dei ricchi» (così la definizione del Berliner Zeitung): la ricchezza sarebbe «frutto del lavoro e della capacità di prendere rischi», tanto che un'imposizione statale per la redistribuzione del patrimonio «finirebbe per danneggiare la classe media», anche perché «la metà delle tasse totali è pagata proprio dal 10% più ricco». Del resto, anche «la corte costituzionale [la stessa istituzione che ha deciso recentemente l'accettabilità della partecipazione tedesca al fondo Esm, ndr] ha stabilito che un'imposizione fiscale superiore al 50% è inaccettabile».
I fatti sembrano indicare che la tesi dell'arricchimento dei più ricchi sia attendibile. Secondo un report del ministero del Lavoro, il 10% delle famiglie più benestanti nel 1998 possedeva il 45% del patrimonio, passato al 53% nel 2008, fino all'attuale 56 per cento. La metà delle famiglie più povere possiede solo l'1% del patrimonio. L'«indice di Gini» descrive la qualità della distribuzione del reddito: più è basso, migliore è la situazione. La Germania è posizionata bene, segnando un «28,3» che la colloca vicina alle economie scandinave - mentre l'Italia, a 36, è paragonabile alla Gran Bretagna. Ma ciò che spaventa i tedeschi è il peggioramento della situazione. Economia esportativa, presenza dei grandi gruppi, finanza di Francoforte e necessità di iper-educazione fanno temere alla classe media che la Germania si stia «americanizzando». Si teme che la ricchezza di pochi aumenti a spese di tutti: il report ministeriale indica come tra il 1992 e il 2012 il patrimonio netto dello stato sia diminuito, mentre quello dei privati sia aumentato del 4,6 per cento.
Uwe Hück, membro del cda di Porsche, anch'egli presente da Anne Will, ha richiamato l'élite tedesca alla «responsabilità». Rispondeva Michael Hüther, presidente dell'Istituto Economico Tedesco, che si potrebbe trattare solo di una «questione relativa». Comprare una lavatrice - ha sostenuto - costa oggi la metà rispetto a una decina di anni fa, tanto che la «nuova povertà» sarebbe «un problema di percezione». Forse Hüther ha ragione: è innegabile che rinunciare al parquet in favore del laminato non è esattamente un problema esistenziale.
Eppure, l'insoddisfazione c'è. Impressiona l'incomunicabilità tra «benestanti» e «borghesia impoverita». Il liberale Döring parla al vento: serve a poco ripetere l'abc di Friedman, se nell'immaginario collettivo sono rimasti gli anni Ottanta, con il reddito in aumento, la BMW in garage e una bella villetta in campagna. Si trattava di altri tempi, con un Occidente in trionfo, senza la concorrenza spietata e sleale del «social dumping» cinese. Non si riesce a immaginare un nuovo modello socialmente sostenibile, che sia in grado di confrontarsi con la situazione attuale. Le riforme degli anni Duemila non hanno risolto la piaga sociale dei «disoccupati di professione»: ormai sono nate «dinastie di disoccupati», in cui non si lavora da tre generazioni. La mobilità sociale, pur tra le più dinamiche al mondo, è in peggioramento.
Alla Germania viene chiesto di guidare l'Europa, ma il Paese stesso si dibatte oggi in una crisi di personalità, che deve essere risolta per proporre un modello vero all'estero. La piccola borghesia tedesca non riuscirà mai davvero a interessarsi dei problemi di Grecia e Spagna, se prima non risolverà i propri.
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