di Gian Paolo Prandstraller
L'estate del 2012 rimarrà famosa perché durante i suoi caldi mesi si è verificato un conflitto aperto tra due forme di capitalismo molto diverse tra loro: quello finanziario e quello basato sulla produzione effettiva. L'antinomia è stata constatata più volte, ed è tutt'ora all'origine della crisi europea, dell'instabilità dell'euro, e di altri fenomeni nient'affatto gradevoli.
Il capitalismo finanziario è quello nel quale il capitale si forma attraverso la speculazione su titoli, azioni, investimenti, ecc. il cui valore (mutevole) dà luogo a guadagni e perdite che non dipendono dal processo di produzione; l'altro capitalismo è quello che ha origine dalla creazione e vendita di entità reali soggette alla valutazione del mercato.
Negli ultimi anni lo scontro tra queste due forme è divenuto sempre più aspro, e nell'estate 2012 ha raggiunto un vertice drammatico, dimostrando quanto il capitalismo finanziario abbia un tale potere da essere una vera e propria alternativa all'altro capitalismo.
Difficilmente si capirebbe la violenza dello scontro se non si tenesse conto che il capitalismo fondato sulla produzione non è oggi un capitalismo qualunque, ma una forma economica che può essere definita "capitalismo cognitivo", consistente in una produzione legata o addirittura dipendente dalla ricerca scientifica, al punto che senza quest'ultima lo stesso sistema capitalistico non potrebbe sopravvivere.
Mentre per il capitalismo finanziario è essenziale l'abilità degli operatori che speculano sui titoli, il capitalismo cognitivo gioca le sue carte sul miglioramento continuo dei prodotti (e sui prodotti nuovi) - fattori entrambi che dipendono dalle acquisizioni ottenute dalla diade scienza - tecnologia nel suo inesausto iter acquisitivo.
È il caso di dire che per i paesi che hanno puntato molto sul capitalismo finanziario e poco sul capitalismo cognitivo, i nodi sono venuti al pettine con la crisi economica che travaglia tuttora il mondo. Ma il legame tra l'economia e la scienza (intesa anche come tecnologia /e ), si era già profilata negli anni '80 del XX secolo, quando apparve il cosiddetto "postindustriale".
Fu chiaro allora il grande rilievo del fattore cognitivo, ossia la necessità per qualunque economia d'introdurre nel mercato prodotti innovativi ottenuti mediante la ricerca unita in certi casi alla capacità creativa. Si delineò allora la scelta tecnologica della Germania (nonostante i problemi della riunificazione), l'idea che occorresse procedere a una ristrutturazione radicale della produzione per avere un posto di rilievo nell'economia mondiale.
Attraverso tale opzione la Germania è diventata l'unico grande paese europeo la cui economia è in crescita, perché vende prodotti e sistemi tecnologicamente avanzati di cui altri paesi europei non dispongono (o non nella stessa maniera). Nel 2011-2012 l'egemonia tedesca si è fatta palese e gli altri paesi europei la percepiscono come tale - con un risentimento poco giustificato dato che non hanno effettuato a suo tempo le scelte innovative tedesche, implicanti grandi investimenti e una realistica consapevolezza di ciò che è l'economia postindustriale rispetto a quella industriale.
Dobbiamo ora domandarci quale sia il tipo di capitalismo che per così dire "conviene" al ceto medio. Quello finanziario o quello cognitivo? Sembra evidente che questo ceto ben poco può ricavare dalla speculazione finanziaria, né in termini di funzioni né di posti di lavoro.
L'opposto avviene per quanto riguarda l'altra forma. Il mondo tecnologico è in continua espansione e dunque rende possibile l'assunzione d'una manodopera tendenzialmente professionale, come sta accadendo in tutti i paesi in grande sviluppo. Lo sforzo compiuto dagli USA e da altre entità nazionali per salvare il ceto medio si spiega con la necessità del capitalismo cognitivo di mantenersi in vita. Come? Con iniezioni continue di scoperte e innovazioni scientifiche sostenute da un ceto lavorativo ben formato
Altra domanda: quale tipo di lavoro è consono a un'economia capitalistico - cognitiva? La risposta non può che essere: il lavoro tecnico-intellettuale applicato, cioè professionale in tutte le forme e graduazioni. È doloroso constatare invece che il lavoro non qualificato non è in sintonia col capitalismo cognitivo.
Si tratta forse di tempi lunghi, ma il lavoro non qualificato e non professionale sembra destinato ad essere sostituito da un lavoro direttamente collegato a saperi specifici. I problemi che derivano da tale evoluzione sono molti. È prevedibile che essa provocherà crisi dolorose - di adattamento, di disincanto, d'impossibilità di trovare lavoro, la cessazione o quasi del lavoro a tempo indeterminato.
Ma il lavoro non coerente con la professionalità verrà sostituito dal lavoro che riceve la propria legittimazione da un qualche modello professionale. Ciò produrrà, è prevedibile, fasi tormentate di adattamento; e riflessi diretti sulla scuola, sull'università, sul tipo di materie che s'insegnano, sugli apparati di ricerca, sui fondi destinati a quest'ultima, ecc.
Alla domanda: C'è da attendersi nel prossimo futuro un'economia tranquilla, connotata da un lavoro sicuro, esente da crisi? Credo proprio di no, perché quando il sistema economico dipende dalla conoscenza, non si possono mai dormire sonni tranquilli data l'apparizione inevitabile di prodotti migliori di quelli che riusciamo a produrre.
Le innovazioni sono continue, le sfide derivate da nuove conoscenze non danno tregua agli operatori economici, sono molte le sorprese amare che si hanno ogni giorno. Bisogna essere pronti in ogni momento a fronteggiare problemi difficili, spesso inediti, e avere lo stato d'animo adatto al confronto continuo.
Sarà questo - è pensabile - il destino dell'uomo del XXI secolo, in perenne competizione, sempre sfidato da potenze che passano dal sottosviluppo allo sviluppo e offrono al mondo i loro prodotti. L'organizzazione tayloristica, la catena di montaggio, il fordismo, la burocrazia weberiana, la grande fabbrica, davano certo - con tutti i loro difetti - una maggiore stabilità, una relativa certezza.
Oggi, dopo aver aspramente criticato tali icone organizzative, siamo in balìa di tante variabili e di tante sfide che è difficile prognosticare un mondo economico stabile e tranquillo. Forse è questo il prezzo che si dovrà pagare per giungere (prima o poi) alla cosiddetta "società della conoscenza".
prandstraller@tin.it